Roma, 31 dicembre 2018 – Una manovra che lascia molto in mano al nuovo Patto per la salute 2019-2021: l’aumento per il biennio 2020-2021 (3,5 miliardi); la revisione dei ticket; la riorganizzazione delle reti ospedale-territorio i e liste d’attesa (da ridurre); la valutazione dei fabbisogni di personale anche per quanto riguarda la formazione di base e specialistica e le necessità assunzionali; l’implementazione del sistema tessera sanitaria per seguire davvero il paziente attraverso il suo percorso di cura, migliorando l’appropriatezza nell’erogazione delle risorse (pubbliche e private) anche grazie allo sviluppo tecnologico; la promozione della ricerca sanitaria.
Una serie di previsioni e parametri su cui non si può non essere d’accordo: sono la base del nuovo modello di assistenza che ormai da tempo gli infermieri descrivono come necessario per far fronte all’epidemiologia e ai bisogni di salute che saranno da oggi e nel prossimo futuro.
Argomenti su cui la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche non a caso ha stipulato un protocollo d’intesa per un tavolo permanente con le Regioni che tratti proprio dello sviluppo di nuovi modelli organizzativo-assistenziali e delle competenze esperte e specialistiche, degli standard del personale infermieristico dei vari Servizi sanitari regionali anche in considerazione della riduzione degli organici per il blocco del turn over, dello sviluppo professionale e di carriera, formazione e aggiornamento del personale infermieristico e della sua formazione manageriale, del fabbisogno formativo degli infermieri e infermieri pediatrici fino all’avvio di percorsi per lo sviluppo del corpo docente universitario dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.
Purtroppo, però, una manovra anche di occasioni perdute e non sempre di equità. Ad esempio, si è deciso di calcolare per la dirigenza medica, veterinaria e sanitaria non medica la percentuale di aumento degli stipendi che sarà con i prossimi contratti, anche sull’indennità di esclusiva che entra così a far parte del monte salari del prossimo contratto.
Ma nonostante gli emendamenti presentati nell’iter parlamentare non si è ritenuto di estendere l’indennità di esclusiva ai dirigenti delle professioni sanitarie, neo inseriti in quest’area contrattuale, che così verranno sempre a guadagnare, a parità di contratto, cifre inferiori ai loro colleghi.
Oppure ancora si offrono deroghe per le cure palliative ai medici che non sono in possesso dei titoli previsti dall’apposito decreto del ministero della Salute. Giusto, visto che la terapia del dolore e il rispetto dei Lea di settore stenta a decollare. Ma gli infermieri? Che delle cure palliative e dell’assistenza nella terapia del dolore ne fanno una bandiera anche dal punto di vista deontologico (è prevista nel Codice) e che sono per ammissione degli stessi pazienti i professionisti clinicamente, continuativamente e dal punto di vista organizzativo più vicini a loro e alle loro famiglie?
Così via per numerosi particolari che non sfuggono davvero agli oltre 440mila professionisti iscritti agli Ordini che ogni giorno mettono in gioco se stessi per assistere e far fronte ai bisogni dei cittadini.
Una manovra purtroppo – senza entrare nel merito dell’appropriatezza della norma – che genera per colpa di una disinformazione, di una generalizzazione nei termini e di un’approssimazione diffusa, errori interpretativi gravissimi. Ma non tanto per i professionisti che sono consapevoli dei propri diritti e doveri, quanto nei cittadini.
La norma che cerca di non far licenziare chi lavora da almeno tre anni (quindi non certo abusivamente e comunque secondo regole precise su cui dovrà intervenire anche un decreto del ministero della Salute) in alcune professioni non regolamentate prima della legge 3/2018 che ha istituito gli Ordini professionali (e quindi, ancora, sicuramente non riguarda infermieri, infermieri pediatrici, assistenti sanitari, ostetriche e tecnici di radiologia per quali era già d’obbligo l’iscrizione agli albi per esercitare) è stata ampiamente fraintesa ed è stata mal-presentata da molti media ai cittadini come una norma “libera tutti” per abusivi in tutte le professioni sanitarie, creando tensioni certe e situazioni di disagio al momento del contatto col paziente, scorrettamente ‘impaurito’ di trovarsi di fronte a qualcuno non all’altezza del suo bisogno di salute.
Tirando le somme quindi, una legge di Bilancio che lascia molto lavoro a prospettive future, che non premia e non aiuta alcune categorie professionali nella loro naturale crescita, anche a favore di una migliore assistenza.
C’è ancora moltissimo su cui lavorare, tantissime le questioni da affrontare e da risolvere, e molte le diseguaglianze in ambito professionale.