La depressione: proviamo a riflettere sul senso che essa può assumere per un individuo.
I ricercatori dell’Istituto Mario Negri hanno evidenziato la difficoltà concettuale nel differenziare la depressione intesa come malattia definita, da quella considerata come disagio mentale. Questo dato ci permette di indirizzare il nostro discorso sul senso della depressione e sul suo uso in terapia.
Parleremo del vissuto e del sentimento depressivo che, a dire della psicologia analitica, rappresentano forme che arginano e bloccano l’energia psichica. Queste alterazioni, tuttavia, se correttamente liberate, possono apportare elementi arricchenti e rigeneranti alla personalità del depresso, a patto che quest’ultimo riesca a trasformare il sentimento doloroso in un’idea o in un’immagine dialogante.
Il processo avrà possibilità di realizzarsi, se la persona saprà allearsi con il proprio male, superando le posizioni di difesa e di negazione.
Non sarà cosa semplice, la depressione è pur depotenziamento dell’Io, caduta nella materia, ferita narcisistica. Sarà decisiva, dunque, la capacità del depresso di stringere un patto con la sua esperienza dolorosa, affinché nel ritiro possa cogliere il senso delle distorsioni e trasformarle poi in potenzialità chiarificanti.
Per questa ragione rimane riduttivo considerare il fenomeno depressivo come una sindrome o un’alterazione estranea e morbosa da correggere.
Attraverso questa via si giungerà inevitabilmente all’agito e al non ascolto, irrigidendo le difese del paziente e aumentando l’interventismo del terapeuta.
Si tenga conto che patos non rinvia solo a patologia, ma anche ad esperienza, a coinvolgimento. È opportuno dunque dialogare con la depressione e giungere, attraverso il suo ascolto, a una chiarificazione.
James Hilman, psicoanalista, sostiene che occorre superare il modello concettuale, secondo il quale la depressione è l’equivalente dell’inferno teologico, la fine senza luce, verso cui si dispone una difesa maniacale.
Il pensiero contemporaneo, invero, promuove un paradigma ascendente, secondo il quale chi si attarda o si ferma in basso è considerato un perdente, un peccatore, un individuo colpevole.
L’esperienza ci informa del contrario. È nell’entrare nella profondità dell’anima, anche attraverso la sofferenza e la depressione, che si recupera il senso tragico della vita, trovando ragioni, confini e rifugio.
Sarà un viaggio di ritorno, tuttavia nella regressione la psiche non ritorna solo per sfuggire alla realtà, ma per trovarne una nuova. Gli affetti sono muti, hanno bisogno di una rappresentazione per essere espressi. Essi chiedono di essere provati per ritrovare un nome, per essere descritti, riconosciuti.
È utile assegnare un nome, il più elementare e il più pertinente a quel sentimento depressivo che, nella sua forma confusa e distorta, il paziente ci va comunicando. Si restituirà così il primitivo e ingenuo vocabolario affettivo a chi ne è stato deprivato.