In futuro il corretto approccio cronobiologico nello studio delle variazioni di vitamina D potrebbe meglio indirizzare le strategie di integrazione di questo importante ormone per prevenire gli infortuni nell’atleta professionista e limitare i danni cellulari dovuti all’infiammazione e ai radicali liberi più in generale in tutta la popolazione
Milano, 3 maggio 2017 – La vitamina D è al centro di una ricerca condotta presso l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano dal dottor Giovanni Lombardi, responsabile dell’Unità di biochimica sperimentale, dal dottor Jacopo Vitale, ricercatore del Laboratorio di meccanica delle strutture biologiche e dal professor Giuseppe Banfi, direttore scientifico dell’Istituto, con l’obiettivo di mettere in relazione i livelli di vitamina D nel sangue con quelli di molecole che indicano stress e danneggiamento muscolare, in tre differenti squadre italiane di calcio professionistico.
Lo studio dell’IRCCS Galeazzi si è concentrato su un campione di 167 calciatori delle squadre di Bari, Lanciano e Pescara. Nonostante i soggetti fossero giovani sportivi sani e praticassero attività all’aria aperta, 55 (32.9%) atleti presentavano livelli di vitamina D lievemente carente e 15 giocatori (9%) hanno invece mostrato un deficit più marcato di tale ormone. Proprio i carichi intensi di lavoro fisico dovuti alle impegnative sedute d’allenamento nell’arco della stagione e la scarsa esposizione solare durante i mesi invernali possono aver giocato un ruolo determinante per quanto riguarda i livelli di vitamina D.
Per confermare la possibile influenza della diversa esposizione solare sullo stato fisico dei calciatori, tutti i parametri sono stati analizzati secondo un approccio cronobiologico – in relazione cioè alle condizioni atmosferiche e stagionali, nonché al lasso temporale – ed hanno mostrato un andamento ritmico della vitamina D durante il corso della stagione calcistica: le fluttuazioni di vitamina D sono molto simili a quelle del testosterone che ha abitualmente un picco estivo e opposte a quelle del cortisolo, che presenta invece un picco invernale. Il cortisolo è un indice di stress psico-fisico, mentre il testosterone al contrario è un valore relativo a uno stato di anti-stress e insieme incidono sulle performance atletiche.
Questi tre elementi sono strettamente associati e l’andamento di un singolo parametro incide anche sugli altri. La vitamina D aiuta a migliorare il rapporto tra cortisolo e testosterone: a un incremento di vitamina D corrisponde un aumento del testosterone e, all’opposto, una diminuzione del cortisolo che è il responsabile dello stress fisico del giocatore. Il livello di vitamina D può dare quindi un’indicazione in merito alla condizione psico-fisica dell’atleta e, di conseguenza, della probabilità di incorrere in infortuni.
“L’aspetto realmente più significativo di questo studio scientifico è rappresentato dall’utilizzo di un approccio cronobiologico per comprendere, nel dettaglio, quali fossero le fluttuazioni stagionali della vitamina D in atleti professionisti. La cronobiologia, con il suo approccio ritmico, infatti può giocare un ruolo determinante nel comprendere al meglio quali siano i momenti critici e di maggiore stress fisico nel corso dell’anno, sia per gli sportivi ma anche per la popolazione più in generale. Con queste preziose informazioni lo staff medico ed atletico delle squadre professionistiche ha la possibilità di sviluppare le migliori strategie preventive, al fine di favorire la salute fisica degli atleti” afferma il dottor Jacopo Vitale, ricercatore del Laboratorio di meccanica delle strutture biologiche.
La vitamina D è un ormone coinvolto in numerose funzioni essenziali per l’organismo, come l’assorbimento del calcio e la formazione dell’osso, inoltre determina la forza e la contrazione muscolare, contribuisce al mantenimento dell’equilibrio e ha una funzione anti-ossidante. È notoriamente prodotta nella nostra pelle grazie all’esposizione solare, infatti è grazie al sole che il nostro corpo è in grado di sintetizzarla.
La vitamina D risente quindi delle fluttuazioni stagionali che dipendono, oltre che dal tempo speso all’aria aperta, anche dalla latitudine, intesa come numero di ore di esposizione alla luce e di intensità del sole. Proprio in virtù dei suoi effetti sull’apparato locomotore diverse ricerche hanno studiato i livelli di questo ormone in atleti professionisti di differenti discipline sportive.
In futuro il corretto approccio cronobiologico nello studio delle variazioni di vitamina D potrebbe meglio indirizzare le strategie di integrazione di questo importante ormone per prevenire gli infortuni nell’atleta professionista e limitare i danni cellulari dovuti all’infiammazione e ai radicali liberi più in generale in tutta la popolazione.
fonte: ufficio stampa