La ricerca scientifica del San Raffaele di Roma ‘vola’ nello spazio insieme all’astronauta Paolo Nespoli

L’esperimento, che vede come Responsabile Scientifico il dott. Ferdinando Iellamo e co-responsabile il prof. Maurizio Volterrani, presentato presso l’auditorium dell’Agenzia Spaziale Italiana

ricercatrice-medicoRoma, 25 novembre 2016 – 174 giorni, 9 ore e 40 minuti: è il tempo che complessivamente l’astronauta dell’ESA Paolo Nespoli ha trascorso nello spazio e a cui, nei prossimi mesi, se ne aggiungerà altro poiché nel 2017 la Spedizione 52/53 lo porterà per la terza volta sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). A bordo della Soyuz MS-05, ci sarà anche un pezzo di Ricerca Scientifica targato San Raffaele.

La Expedition 52/53, nata da un accordo tra l’Agenzia Spaziale Italiana e la NASA, rappresenta la terza missione di lunga durata dell’ASI e prevede una serie di esperimenti dedicati alle scienze della vita che saranno portati avanti dagli astronauti a bordo della ISS. Otto in tutto, uno dei quali vede come PI (Responsabile Scientifico) il dott. Ferdinando Iellamo e co-responsabile il prof. Maurizio Volterrani. L’esperimento proposto dagli studiosi dell’IRCCS San Raffaele di Roma è stato presentato ieri, insieme agli altri Principal Investigator che hanno progetti di ricerca in corso e programmati per il prossimo volo della Nasa, presso l’Auditorium dell’ASI (in via del Politecnico).

In cosa consiste l’esperimento del San Raffaele? Durante la permanenza nello spazio, l’astronauta dovrà eseguire un programma di allenamento personalizzato, definito TRIMPi (individualized TRaining IMPulse).

“Una nuova metodologia di allenamento – ha spiegato Iellamo – che si basa sul carico di lavoro interno che il singolo individuo sperimenta durante l’attività fisica piuttosto che sulla spesa energetica indotta dall’attività fisica. L’obiettivo è acquisire informazioni utili allo sviluppo di contromisure basate sull’esercizio fisico al fine di prevenire problemi di salute dopo i voli spaziali quali l’intolleranza ortostatica (orthostatic intolerance), che rappresenta uno dei principali e più frequenti sintomi che gli astronauti presentano dopo voli spaziali, specialmente se di lunga durata”.

“La possibilità di effettuare un esperimento durante la missione spaziale in un ambiente particolare: l’assenza di gravità – ha aggiunto Volterrani – rappresenta un’occasione unica per testare alcune ipotesi di lavoro che potremmo applicare direttamente ai nostri pazienti, in particolare su o in quelli più anziani che, da un punto di vista fisiologico sia a causa dell’età che della patologia disabilitante, subiscono delle modificazioni muscolo scheletriche molto simili a quelle che gli astronauti sperimentano durante la permanenza in ambiente con micro gravità”.

fonte: ufficio stampa

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