L’acqua potabile che arriva nelle nostre case può provenire sia da acque sotterranee che superficiali (torrenti, fiumi, laghi, bacini artificiali) e viene sottoposta a trattamenti diversi prima di essere immessa nella rete di distribuzione. In Italia, circa l’80% dell’acqua potabile distribuita dagli acquedotti deriva da acque sotterranee e il restante da acque superficiali. Solo in Puglia e in Sardegna il contributo dell’acqua superficiale supera quello delle acque sotterranee. Oggi, in Italia, oltre il 90% della popolazione riceve nella propria abitazione l’acqua potabile grazie agli acquedotti che sono circa 10.000 di cui 1.600 con bacini d’utenza superiori ai 5.000 abitanti.
La qualità dell’acqua potabile è notevolmente condizionata dal tipo di sottosuolo cui origina, dalle condizioni degli acquedotti in cui viene raccolta, dalla struttura e dallo stato delle reti idriche utilizzate per la sua distribuzione. Tutto ciò rende necessario un processo di potabilizzazione, ossia un trattamento che assicuri, per l’acqua che ne sia priva, gli standard qualitativi necessari a tutelare la salute pubblica. Si tratta di un procedimento delicato, differente a seconda della natura dell’acqua da trattare e che per le acque superficiali è molto più spinto.
A disciplinare il campo delle acque potabili in Italia è il D.L. 31/2001 (Direttiva Europea 98/83/CE), che definisce anche i criteri e i parametri analitici ai quali un’acqua deve sottostare per potere essere definita potabile.
Viene considerata potabile “un’acqua destinata al consumo umano che può essere bevuta da tutti e per tutta la vita senza rischi per la salute, batteriologicamente pura, con un giusto grado di mineralizzazione e che abbia determinate caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche”. Tale normativa, inoltre, fa riferimento solo ad acque destinate al consumo umano, distinguendole dalle acque minerali naturali, le quali sono sottoposte a un differente disciplinare legislativo (D.M. 29/12/2003).
Ai fini del nostro studio, abbiamo raccolto 157 campioni di acque di rubinetto su tutto il territorio Italiano. In alcune grandi città, ad esempio Napoli, Torino, Milano, Roma, sono state campionate acque di rubinetto in diversi quartieri. Le analisi, come per le acque minerali, sono state eseguite dal Servizio Geologico Tedesco (BGR) a Berlino, per la determinazione di parametri quali durezza, pH, conducibilità elettrica e, con differenti metodi analitici, le concentrazioni di 69 elementi chimici e ioni.
Le analisi hanno rivelato che la maggior parte delle acque di rubinetto analizzate (138 su 157) ha un basso contenuto di minerali (oligominerali) e sono del tipo bicarbonato calciche, in particolar modo quelle che hanno origine nell’Appennino centrale e meridionale in litologie calcaree, oppure bicarbonato calciche magnesiache caratteristiche della pianura Padana, dell’Appennino settentrionale e del bordo meridionale delle Alpi, associate a rocce dolomitiche o alluvionali.
Acque maggiormente arricchite in sodio e cloro si riscontrano in Sardegna, in Sicilia e in alcune aree costiere. Per queste acque ci può essere un contributo marino, soprattutto per la Sardegna e la Sicilia che come si è detto per l’approvvigionamento idrico utilizzano una percentuale maggiore di acque superficiali. Il grado di acidità (pH) misurato è nella norma per tutti i campioni analizzati così come il valore della conducibilità elettrica (Ec) che è sempre inferiore a 2500 µS/cm.
Questo studio non aveva come obiettivo quello di dare un giudizio esaustivo sulla qualità delle acque di rubinetto italiane, anche perché non prende in considerazione altri parametri come quelli microbiologici e non valuta la presenza di alcuni composti organici anch’essi potenzialmente nocivi per la salute dell’uomo. Ciononostante, sulla base dei dati prodotti, è possibile affermare che la qualità dell’acqua potabile in Italia è abbastanza buona, anche se in alcune città, poche per fortuna, essa dovrebbe essere certamente migliorata.
Il confronto con le acque minerali non mostra grosse differenze dal punto di vista qualitativo e si può tranquillamente affermare che, limitatamente alle sostanze analizzate, per la salute del consumatore è indifferente bere acqua di rubinetto o acqua minerale imbottigliata.
La Legge (D.L. 31/2001) impone limiti abbastanza severi per gli acquedotti mentre meno rigida è la normativa relativa alle acque minerali imbottigliate (D.M. 29/12/2003).
Riteniamo opportuno che le due normative vengano uniformate trattandosi in entrambi i casi di acque destinate al consumo umano e che vengano fissati dei limiti anche per altri elementi quali berillio, fosforo, molibdeno, tallio, uranio, zinco potenzialmente tossici per la nostra salute. In aggiunta non dovrebbero essere consentite deroghe ai valori limite fissati sulla base di procedure internazionali concordate per la valutazione del rischio e per la tutela della salute pubblica.