Si affronterà il tema del disagio giovanile illuminando solo un aspetto dell’ampio scenario, quello probabilmente più in ombra. Ci occuperemo del rapporto che i giovani hanno con la morte e del modo in cui vivono il fenomeno estremo.
È innegabile che l’argomento, per le sue vaste implicazioni, può meglio definirsi come l’angolo di una visuale estesa. La concezione della morte determina di certo il nostro modo di esistere e regola i criteri connessi al rispetto dell’esistenza altrui.
Il tempo presente però sembra aver dimenticato, se così si può dire, la morte, smarrendo il rispetto per il suo senso tragico e irreparabile. L’evento luttuoso è spesso proposto come uno spettacolo, ponendo fuori campo, o meglio fuori scena, il suo volto letale e funesto.
La morte esistenziale cede il posto a quella mediatica.
È consueto ormai assistere nei salotti televisivi o leggere sui giornali storie di giovani che stroncano la vita di altri giovani, di adolescenti che sopprimono la propria.
L’interrogativo proposto riguarda il motivo per cui giovani, con una condotta di vita equilibrata, possano di sorpresa ammazzare o massacrare. Il crimine trasformato in fiction rimane per lo più incomprensibile e le vicende assumono così il paradigma di una telenovela o nel migliore dei casi di un mélo genere noir.
I dati a riguardo rimangono purtroppo implacabili, nell’universo giovanile baby killers assassinano genitori ed amici, violentano coetanei, al punto che l’omicidio ed il suicidio rappresentano, in questa fascia d’età, la principale causa di morte, seconda solo a quella per incidente stradale, che con l’omicidio ed il suicidio mantiene un sottile legame.
È incredibile quanto si ammazzi nel tempo presente.
Ogni ora un giovane assiste in televisione a due morti provocate, vede in pratica quarantamila morti in una ventina d’anni, escludendo quelle presenti al cinema o sui giornali. Invidiabile primato, sebbene, nel periodo medesimo, egli ha assistito a pochissime morti vere, perché queste sono per lo più relegate in strutture sanitarie.
Il giovane conosce a menadito invece la morte spettacolo, quella non agonica e non concreta, priva dunque dell’invincibile peso della sofferenza e della perdita.
Il filo rosso che lega questi eventi è, come afferma Vittorino Andreoli, la “visione edulcorata della morte”, elemento centrale per comprendere l’estrema violenza messa in atto dai giovani.
La morte appresa in poltrona e deprivata per questo del suo senso tragico potrebbe aiutare a spiegare la ragione per cui un giovane, alla presenza di una difficoltà, decida di suicidarsi o, dinanzi ad un impedimento, uccida compagni e genitori.
La famiglia, la scuola e la società sono investiti in pieno dal problema e chissà se saranno in grado di offrire una risposta, perché il ricorso al “giovane mostro”, per spiegare il caso, ha ormai mostrato i suoi limiti.
Il tema nella sua dolorosa attualità si ripresenta, chiede ragione, intende conoscere perché in ragazzi, senza un disturbo mentale, possa trovare spazio la voglia di uccidere.
Non si dimentichi che Pietro Maso, impaziente di conseguire l’eredità, ammazzò con i suoi amici i genitori.