Nella mitologia greca Medea era l’amante di Giasone. Per punire il marito traditore uccide i suoi tre figli. La tragedia greca ben rappresenta la follia femminile che arriva a sopprimere la sua “stessa carne” in preda a passioni e impulsi irrefrenabili. A Benevento si sta svolgendo il processo Medea nei confronti di una donna di Pietrelcina, A. I., che nell’aprile del 2000, ben 14 anni fa, uccise gettando in un canalone la sua bimba appena nata. La Procura è giunta a scoprire la colpevole, che viveva a pochi metri dal canale, grazie a lettere anonime e alle ammissioni di alcuni congiunti della imputata solo nel 2013. Nel mese di maggio e settembre 2014 si sono svolte due importanti udienze. I periti hanno confermato che il DNA della neonata e quello trovato su alcuni indumenti che indossava la piccola vittima corrisponde a quello della incriminata.
Il DNA non mente. In questa società di ipocrisia, falsità, menzogne e bugie questo esame genetico sta squarciando un velo su alcuni radicati pregiudizi. Non tutte le mamme del mondo sono belle, la famiglia non è così sacra come vorrebbero farci credere, il Natale a volte non è una bella festa. La mitologia e la tragedia greca ben rappresentavano la dura realtà dell’animo umano. Ma anche la nostra tradizione popolare rappresentava con le favole sulle Streghe, sulle Ianare, sul Noce magico di Benevento l’ambivalenza, la ferocia, la crudeltà, la follia dell’animo femminile. Follia che trova il suo apice nella maternità. Freud cerca di fare luce sull’ambivalenza dei sentimenti proprio risalendo alla mitologia greca di cui era grande cultore e appassionato. Per lui ogni amore presenta la sua ombra. La maternità, comporta sacrifici e rinunce. Una giovane madre in seguito alla nascita di un bambino perde la libertà e spesso anche il lavoro. I suoi sogni di successo e di felicità si spengono davanti a un bimbo che tutto chiede e di tutto ha bisogno. Per questo motivo molti sono i minori non amati e troppi gli infanticidi. Medea è Daniela Liguori che diede fuoco alla sua bambina legata in macchina all’uscita della tangenziale ovest di Benevento. Medea è questa disgraziata donna di Pietrelcina. Medea è la Franzoni di Cogne. Medea è la mamma siciliana (Veronica Panarello) che ha strangolato a Santa Croce di Camerina nel ragusano il piccolo Andrea Loris Stival di 8 anni.
La tradizione racconta che in terra beneventana vissero alcune delle streghe più famose del mondo: la Maga Alcina (la maga di cui parla Ariosto) che operava nel paese di Pietrelcina, o la sventurata e giovane Bellezza Orsini, processata dal Santo uffizio di Roma nel 1540, che insegnava a volare (“Unguento unguento, portace alla noce di Benevento, per acqua e per tempo e per ogni maltempo”). Stremata dalle torture, Bellezza Orsini evitò il rogo: si uccise in carcere, colpendosi ripetutamente la gola con un chiodo (purtroppo dei 200 verbali di processi per stregoneria che la Curia Arcivescovile di Benevento conservava, non è rimasta più traccia).
Il DNA non mente. Mentono queste “streghe” quando dicono di essere innocenti. Nel manicomio criminale di Castiglione delle Stiviere (MO) sono ristrette diverse decine di donne responsabili di infanticidio. Questo processo dimostra che Benevento non è un’isola felice. Anche in questa corte di Assise alcuni colleghi neurologi parleranno di tempesta ormonale post-partum. Gli avvocati di incapacità di intendere e di volere. Gli psichiatri di psicosi temporanea legata all’over-stress. I sociologi cercheranno di motivare l’omicidio come frutto di emarginazione e abbandono. Ma nelle aule di giustizia non devono essere giudicati i sentimenti, le emozioni e le passioni. Sono i fatti che vengono condannati e puniti. Le persone in sé sono sempre degne di rispetto (il codice penale vieta i Test di Personalità).
Da parte mia, in qualità di medico, devo ampliare la consapevolezza che la mente umana presenta più ombre che luci. Certamente ho pena per questa disgraziata donna di Pietrelcina che nel 2000 non era né sposata, ne fidanzata. Ma questa storia deve far crescere la consapevolezza che una donna che partorisce è soggetta ad un stress estremo. Molto bene facevano i nostri nonni che subito affidavano il neonato alle cure delle donne di casa, delle zie, delle nutrici. È la solitudine, l’assenza di amore, il vuoto che amplifica l’angoscia, la paura e quindi la nostra aggressività e la nostra crudeltà.