Per chi, nato dopo il 1970, dovesse pronunciarsi sui programmi riguardanti la prevenzione ed il trattamento della malattia mentale, dovrà far ricorso a un inquadramento, il più possibile obiettivo, di come si è giunti alla situazione attuale.
In aiuto giungono recenti pubblicazioni di estremo interesse, benché di diverso orientamento critico e una fiction televisiva, dura e toccante.
Nonostante siano trascorsi più di trenta anni dall’approvazione della legge 180, conosciuta come legge Basaglia, riguardante la chiusura dei manicomi e l’istituzione dei servizi psichiatrici, la polemica sulle ragioni che l’hanno ispirata e più in generale sui temi della Psichiatria e dell’Antipsichiatria, non sono cessati e seguitano a suscitare attenzione.
Segnaleremo per questo i passaggi storici essenziali che hanno contribuito a formare il clima culturale, che in questi decenni, ha mosso la Psichiatria e definito l’Antipsichiatria.
I traumi della Grande Guerra segnarono una decisiva svolta nella storia della follia, da quella data si prestò attenzione all’origine psichica del disturbo mentale.
Nondimeno all’interno dei manicomi il pregiudizio lombrosiano, per il quale la genesi del disturbo era legato al dato genetico anziché psicologico, era lento a modificarsi. I neurologi in quegli anni mantennero infatti una posizione egemone rispetto agli psichiatri e la riforma Gentile, propria del periodo fascista, sancì questo stato.
Bisognava attendere l’epoca democristiana per assistere ad una prima e timida apertura verso la psicoanalisi e verso le forme derivate di terapia psicologica.
Il movimento culturale del sessantotto produsse poi una radicale critica all’istituzione manicomiale, spingendosi sino alla “Legge Basaglia”, che ha la data del 1978.
La storia della Psichiatria è dunque costellata da evidenti ritardi, imposti da una pesante tradizione organicista, ma anche da improvvise accelerazioni.
La storia medesima ha presentato poi profonde contraddizioni, una per tutte: mentre la Psichiatria italiana si distingueva nel mondo per la tecnica dell’elettroshock, negli stessi anni, cioè nel 1938, le leggi razziali condannavano all’esilio grandi nomi della psichiatria e della psicoanalisi, come Levi Bianchini, Weiss, Servadio, Arieti e Musatti.
Negli anni cinquanta l’avvento poi degli psicofarmaci trasformò il paesaggio manicomiale, creando le condizioni per un progressivo abbandono delle pratiche coercitive.
Dalla Cattolica di Milano, dove, in quel periodo, subentrò a padre Gemelli uno psichiatra d’eccezione come Pier Francesco Galli, s’iniziò a valorizzare la cultura della psichiatria e della psicoanalisi.
Su tale sfondo si incardinava il movimento dello psichiatra Franco Basaglia, che si proponeva di privare di ogni funzione clinica l’ospedale psichiatrico.
Prima a Gorizia e poi a Trieste si fecero crollare le inferriate dei reparti, l’onda del movimento dell’Antipsichiatria coinvolse ampi strati dell’opinione pubblica e nel 1978 si giunse all’approvazione della Legge 180.
Oggi, in un clima culturale molto diverso, ci si interroga sulle sue innovazioni ma anche sui suoi limiti, la chiusura dei manicomi non è sempre stata supportata da politiche adeguate e da esaustive risposte di assistenza e di cura.
Alcuni psichiatri e storici della medicina ritengono inoltre che il problema vero della Psichiatria sia proprio la cultura che discende dall’Antipsichiatria, in particolare dalla sua deriva politica e culturale, dove alle critiche puntuali al biologismo e alle inumane condizioni manicomiali si sarebbero aggiunti spontaneismi romantico-sentimentali e spunti demagogici.
Sebbene da un quarto di secolo la polemica perdura, il tema rimane di elevato interesse ed induce a rileggere e a ripensare le ragioni che hanno prodotto il movimento.