Roma, 8 gennaio 2020 – La Fondazione per la Medicina Personalizzata FMP ha promosso una campagna di informazione, che nasce dall’osservazione della pratica clinica sulla rabbia nei pazienti oncologici. Per il prof. Paolo Marchetti – Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata e direttore dell’Oncologia Medica B Policlinico Umberto I, professore ordinario di Oncologia Medica alla Sapienza e già direttore del reparto di Oncologia Medica dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma – gli ostacoli presenti nei percorsi di cura rappresentano dei muri spesso insormontabili, la diagnosi di una malattia oncologica influenza in molti modi la vita di una persona, annulla in un momento il progetto di vita.
Tra le reazioni più comuni ci sono shock, negazione, depressione, ansia e rabbia. Quest’ultima si declina in molteplici forme, la rabbia verso sé stessi,la rabbia verso una malattia che “non deve colpire” me, la rabbia verso i medici curanti che sono presi come la conferma del fallimento terapeutico, la rabbia verso il mondo intero.
In questa società in cui sono predominanti i temi della bellezza e dell’immortalità, se c’è un’imminenza di morte, sicuramente la colpa deve essere di qualcuno e quindi ecco che scatta la rabbia verso il medico, verso la struttura che cura perché non ha saputo superare il limite della morte. Ma la rabbia non è solo quella del paziente, la rabbia è anche quella dei familiari nei confronti dei medici, ma soprattutto la rabbia come momento di frattura con quello che abbiamo intorno è maggiore quanto più siamo stati lontano dalle persone care.
Gli attacchi più violenti, subiti dal prof. Paolo Marchetti, sono stati quelli da parte dei familiari, che non sono mai comparsi nel lungo percorso di malattia, e che si sono accorti, arrivando, all’ultima settimana di vita del loro caro, che si era giunti al capolinea.
E poi c’è la rabbia dei medici, perché hanno il rammarico, forse, di non aver prestato attenzione a un particolare, a un sintomo che è sfuggito; la rabbia dovuta al non avere ancora a disposizione la capacità di guarire qualcuno a cui si è particolarmente legati, con cui si è condiviso un lungo percorso, con cui si è gioito per i tanti successi avuti insieme. I medici si sentono impotenti perché tutto quello che la medicina gli ha insegnato, fino a quel momento, non gli consente la gioia più grande, quella di guarire un paziente. È essenziale per il prof. Paolo Marchetti non essere depressi e sfruttare la rabbia come momento di costruzione dell’alleanza con il medico.
Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, il tema della rabbia sta prendendo sempre più dimensione nelle attività mediche in generale. Viviamo nell’età della rabbia, in una società difficile che genera stimoli continui e frustrazioni, dove i criteri sono quelli del successo, del benessere, dell’essere in forma.
In questo quadro esistenziale si inserisce una diagnosi di neoplasia, che, per quanti termini scientifici si possano usare, è una diagnosi, che non solo spaventa, ma che porta di fronte alla percezione della morte. Non dobbiamo considerare la rabbia un sintomo negativo, bisogna fare in modo che la rabbia sia gestita in senso positivo.
Come si reagisce di fronte alla rivelazione della malattia? In diversi modi, con la negazione della malattia, con la depressione intesa come ritiro dall’esistenza, di rinuncia, in un momento in cui è fondamentale invece lottare, con l’angoscia e poi c’è la rabbia: una reazione vitale, una rivolta, si vuole combattere il nemico.
La comunicazione è l’elemento cardine e fondamentale, non solo nei rapporti umani, ma soprattutto nei momenti critici tra professionisti e pazienti. Per Alberto Castelvecchi, esperto in comunicazione e docente alla Luiss, è molto importante l’empatia tra medico e paziente,in modo da trasformare la rabbia, in volontà di combattere, il medico come alleato. Bisogna quindi formare i medici lavorando sulla gestione dell’aggressività.
Il prof Paolo Marchetti insieme a Claudia Sebastiani di FMP e alla dott.ssa Eva Mazzotti, hanno curato il progetto di ricerca sulla rabbia, con l’obiettivo, in sintesi, di studiare in maniera sistematica il fenomeno della rabbia nel suo complesso. Lo studio ha interessato circa 300 pazienti che accedono al Day-Hospital (DH) Oncologico – Istituto Dermopatico dell’IDI – equamente divisi tra uomini e donne, la cui età media è di 64 anni. Sono stati utilizzati 3 questionari, al fine di misurare la rabbia, l’ansia e la depressione, la qualità di vita e la percezione che il paziente ha della gravità e della curabilità della sua malattia oncologica.
In sintesi, dai dati emersi dalla ricerca, possiamo dire che i nostri pazienti provano tanta rabbia, la controllano molto e la esternano poco. C’è una forte prevalenza di sofferenza psicologica nel paziente oncologico e c’è ancora poca attenzione nel rilevarla.