L’8% dei pazienti oncologici rifiuta le cure per paura di perdere i capelli

Alopecia da terapie oncologiche, impatto così forte da scegliere terapie meno efficaci. Nuove soluzioni dal Board scientifico di Dermatologi e Oncologi

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Roma, 2 ottobre 2017 – Ha un impatto maggiore della mastectomia, ed è l’aspetto più pesante della chemioterapia tanto che per molte donne l’ansia di perdere i capelli non è accettabile sino al punto di rifiutare le cure o sceglierne di meno efficaci.

Le manifestazioni cutanee causate dalla tossicità delle terapie oncologiche possono avere un impatto molto pesante sulla qualità della vita dei pazienti. Provocano una estrema varietà di sintomi fisici ma hanno manifestazioni ‘estetiche’ che preludono a gravi ripercussioni sulla vita sociale e di relazione, nonché sulla psiche dei pazienti.

“Di certo l’effetto più noto che spaventa il paziente oncologico è l’alopecia indotta da chemioterapici la cui incidenza ed entità varia in base al farmaco assunto, con frequenze più elevate soprattutto per i taxani, le antracicline e gli agenti alchilanti” spiega la dottoressa Adele Sparavigna Specialista in Dermatologia e Presidente dell’Istituto di ricerche dermatologiche Dermingdurante la riunione annuale del Board Scientifico Il Corpo Ritrovato in corso a Roma.

“La chemioterapia, di norma, agisce distruggendo tutte le cellule, sia quelle cancerose che quelle sane. Le cellule normali più sensibili all’azione tossica della chemio sono quelle in rapida crescita. Dal momento che le cellule responsabili della crescita dei capelli tendono a dividersi molto rapidamente per riprodursi, esse possono essere frequentemente uccise dalla chemioterapia, causando l’assottigliamento dei capelli e, molto spesso, la caduta totale dei capelli, ovvero l’alopecia da chemioterapia” prosegue Sparavigna.

L’alopecia acuta del cuoio capelluto insorge da 1 a 8 settimane dall’inizio della chemioterapia ed è di solito reversibile. Casi di alopecia permanente da chemioterapici, sono associati alla somministrazione di busulfano (50% dei pazienti) e radiazioni (correlata alla dose).

L’alopecia permanente invece è rara, ma occasionalmente è stata osservata dopo la somministrazione di alte dosi di ciclofosfamide, thiotepa e carboplatino (CTC), farmaci che vengono usati per tumori maligni ematologici e in associazione a trapianto di midollo.

In uno studio in cui 24 pz ricevevano questo trattamento, 8 svilupparono alopecia permanente, 7 ebbero una normale ricrescita, e 9 ricrescita incompleta e/o capelli assottigliati. In generale, l’incidenza dell’alopecia indotta da chemioterapia è del 65% dei casi e, per il 47% delle donne che ne soffrono, questo è senz’altro l’effetto più traumatico della chemioterapia.

“La caduta dei capelli in genere è un fenomeno reversibile che, solitamente, si risolve entro poche settimane dalla conclusione del ciclo di terapia con la ricrescita completa dei capelli. Nonostante ciò, esiste la possibilità che una somministrazione massiccia e consistente di farmaci chemioterapici, il tipo di combinazione usata e la presenza di fattori di rischio individuali (ad esempio problemi precedenti con la caduta dei capelli), possano determinare un’alopecia da chemioterapia permanente.Barba, ciglia, sopracciglia, peli pubici ed ascellari sono affetti da alopecia in misura variabile, dipendente dalla fase anagen del pelo all’inizio del ciclo terapeutico e dalla durata e posologia del trattamento” precisa e rassicura la dottoressa Maria Concetta Pucci Romano, Specialista in Dermatologia e Presidente del Board.

Tra le soluzioni più avanzate c’è una alternativa non chirurgica esteticamente più naturale della classica parrucca, si tratta di un presidio medico personalizzato realizzata con una pelle di sintesi di circa 700 micron di spessore, modellata sul cranio del paziente e sulla quale vengono innestati da 150 a 400 capelli naturali per 2 cm.

“Si chiama ‘epitesi del capillizio’ e permette un risultato molto confortevole ed esteticamente naturale: ondulazione, lunghezza, colore, calibro e verso del capello infatti sono uguali a quelli naturali del paziente. Il dispositivo viene adeso alla cute con appositi prodotti dermocompatibili e viene comunemente utilizzato per alopecia parziale o areata causata da terapie oncologiche o meno. La gestione dell’epitesi è molto semplice: viene rimossa ogni 3-4 settimane da personale specializzato e sottoposta a procedure di igienizzazione. L’intera operazione dura circa un’ora. Per il resto, il soggetto può fare sport, sudare, nuotare, fare lo shampoo ed andare dal parrucchiere in maniera del tutto naturale. I materiali utilizzati, resine e colle, sono materiali di qualità chirurgica e certificati, quindi caratterizzati da elevatissima tollerabilità, traspirabilità ed aspetto uguale a quello della cute normale”, conclude la dottoressa Sparavigna.

“Per quanto riguarda l’alopecia androgenetica che si vede spesso nelle pazienti in trattamento con inibitori delle Aromatasi (usate per il cancro al seno ormonosensibile) è importante iniziare subito una tutela locale (Minoxidil 2%) e con integratori mirati (Nacetil Cisteina,Melatonina, Selenio in piccole dosi), soprattutto individuando preventivamente i soggetti a rischio: donne con seborrea, pregressa storia di acne/dermatite seborroica, capelli fini e sottili, anche familiarità per cuoi capelluto poco folto” aggiunge la dottoressa Romano.

La dermatoscopia locale permette di monitorare la salute dei follicoli pilo-sebacei. L’uso del minoxidil topico al 2% sembra dare buoni risultati soprattutto in caso di alopecia causata da taxani e antracicline, ma non protegge da quella causata da doxorubicina. L’uso della parrucca da parte del paziente oncologico resta una valida soluzione anche in caso di alterazioni della pigmentazione. Se si interviene tardi, l’involuzione del follicolo è irreversibile e non si può fare più nulla.

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