Prof. Luigi Orfeo, presidente della Società Italiana di Neonatologia: “L’infezione congenita da Citomegalovirus appare la causa più frequente di ipoacusia non genetica nei paesi industrializzati ed è il motivo principale dell’aumento della prevalenza già dalla prima infanzia”
Roma, 1 marzo 2022 – “La diagnosi precoce dei deficit uditivi congeniti e di quelli progressivi nei neonati, generalmente fatta nei primi 2-3 mesi di vita, è il miglior modo per intervenire tempestivamente e diminuire la percentuale di casi di ipoacusia con esiti invalidanti. Tra le cause di questa patologia, purtroppo, c’è anche l’eccessiva esposizione al rumore generato dalle sorgenti più diverse, dalla tv ai device, come smartphone e tablet, su cui è fondamentale fare informazione per una corretta prevenzione. Anche nelle nostre Terapie Intensive Neonatali (TIN) siamo quotidianamente impegnati in interventi tesi al contenimento dell’esposizione al rumore, alla protezione del sonno e al coinvolgimento dei genitori con l’incoraggiamento a parlare/leggere/cantare ai propri neonati per un adeguato sviluppo sensoriale”.
È quanto afferma il presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN), Luigi Orfeo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Udito che si celebra il 3 marzo e per la quale, quest’anno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità pone l’attenzione sul tema: “To hear for life, listen with care!”.
La ipoacusia o sordità congenita è una patologia che colpisce ancora oggi 1,5-3 neonati su mille e in alcune categorie di bambini, come i neonati prematuri ricoverati in TIN e quelli con familiarità per ipoacusia infantile, la prevalenza può essere 10-20 volte maggiore. La ipoacusia neonatale congenita può dipendere da fattori genetici, che rappresentano il 50-60% dei casi, ma anche esterni come le infezioni trasmesse nell’utero della madre, tra cui la più frequente è quella da Citomegalovirus e poi la Rosolia congenita e la Toxoplasmosi.
“L’infezione congenita da Citomegalovirus appare la causa più frequente di ipoacusia non genetica nei paesi industrializzati ed è il motivo principale dell’aumento della prevalenza già dalla prima infanzia. La maggior parte di questi neonati, tuttavia, non presenta segni o sintomi specifici alla nascita. Grazie allo screening audiologico universale, che ne attesta la positività, ed il successivo screening selettivo per Citomegalovirus congenito, la patologia può essere rilevata e presa in carico sin da subito – continua Orfeo, che aggiunge – Oggi, fortunatamente, lo screening audiologico viene effettuato nella quasi totalità delle Terapie Intensive Neonatali”.
Il deficit uditivo permanente infantile può avere gravi conseguenze sullo sviluppo del linguaggio e delle abilità cognitive, anche quando isolato. La diagnosi precoce è il presupposto per attuare misure di trattamento e abilitazione adeguate nei tempi e nelle modalità.
Dal 2017, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio per l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), si garantisce lo screening uditivo per la sordità congenita gratuitamente a tutti i neonati.
Per migliorare la copertura e implementare un sistema completo per effettuare lo screening uditivo su tutti i neonati, in grado di identificare una sordità permanente prima dei tre mesi di età, il Gruppo di Studio Organi di Senso della SIN ha elaborato un documento sull’organizzazione, esecuzione e gestione dello screening uditivo neonatale, rivolto principalmente ai pediatri/neonatologi.
Sono in fase di completamento le nuove raccomandazioni, realizzate dal Tavolo Tecnico dell’Istituto Superiore di Sanità, coordinato dal Centro Nazionale Malattie Rare in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) e le Società Scientifiche di riferimento, che garantiranno protocolli di screening uditivo e visivo standardizzati ed omogenei su tutto il territorio nazionale.