Ipertensione: un ‘killer silenzioso’ per 17 milioni di italiani

Prof. Giuseppe Derosa, Policlinico San Matteo – Università di Pavia: L’aumento della pressione arteriosa produce danni a livello delle arterie dei vari organi (cuore, cervello, rene, retina) a causa del sommarsi di ripetuti microtraumi alla parete vascolare protratti per mesi o anni”. I risultati dello studio Escape condotto da ricercatori italiani su 175 pazienti ipertesi e pubblicato sulla rivista britannica Cardiovascular Therapeutics. La presentazione in occasione del 77° Congresso della Società Italiana di Cardiologia

medico-visita-pressioneRoma, 19 dicembre 2016 – Sono 17 milioni gli italiani colpiti da ipertensione arteriosa (il 33% degli uomini, il 31% delle donne), causa scatenante di un numero rilevante di complicanze cardiovascolari tra le quali ictus, infarto del miocardio e insufficienza renale cronica. L’ipertensione è responsabile, ogni anno, della morte di 7.5 milioni di persone nel mondo. Tuttavia circa 2/3 dei pazienti, nonostante siano già in trattamento con i farmaci di prima linea, quali Ace-Inibitori o Sartani, non raggiungono il corretto livello di pressione arteriosa. Ma da oggi un nuovo approccio terapeutico consente di ridurre ulteriormente e in modo significativo sia la pressione sistolica che la pressione diastolica esercitando in contemporanea un’azione di protezione per salvaguardare gli organi bersaglio del “killer silenzioso” – cuore, vasi e reni.

press-meeting-studio-escapeÈ questa la premessa dello studio Escape (Efficacy and Safety of Canrenone as Add-on in Patients With Essential Hypertension) sull’utilizzo e l’efficacia del canrenone, in aggiunta agli Ace-Inibitori o Sartani più diuretico, nel trattamento dell’ipertensione arteriosa presentato al Rome Cavalieri Hilton in occasione del 77° Congresso della Società Italiana di Cardiologia (SIC).

Lo studio, condotto interamente nel nostro Paese da ricercatori italiani, pubblicato sulla rivista “Cardiovascular Therapeutics”, ha arruolato 175 pazienti ipertesi (età media 57 anni) divisi in due gruppi: uno trattato con canrenone 50 mg e l’altro con canrenone 100 mg. In entrambi i casi la posologia era di una volta al giorno, per tre mesi.

All’inizio e dopo tre mesi di trattamento sono stati valutati, tra gli altri: i valori di: pressione arteriosa (sistolica e diastolica), la frequenza cardiaca, il profilo glicemico il profilo lipidico e l’aldosterone (che è il principale responsabile della genesi e dell’ingravescenza dell’ipertensione).

In entrambi i due gruppi, i dosaggi di canrenone – è quanto emerge dalla ricerca – hanno ridotto in modo significativo la pressione sistolica e la pressione diastolica ed esercitato un’azione di protezione dai danni che l’aldosterone può generare: aumento dei valori pressori, irrigidimento dei vasi, ispessimento del cuore e problemi a livello renale.

“Siamo più che soddisfatti – spiega Giovanni Vincenzo Gaudio, coordinatore nazionale dello studio Escape – Abbiamo confrontato i risultati del canrenone a 50 mg e a 100 mg e verificato anche la sicurezza dal punto di vista metabolico. Non solo è bene tollerabile, ma rispetto ad altre terapie, con l’uso del canrerone si contrasta la possibilità di una ‘fuga’ dell’aldosterone, bloccando a valle il sistema renina-angiotensina-aldosterone (ras)”.

Il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone determina, inizialmente, una riduzione dei livelli di aldosterone che, dopo alcuni mesi di terapia, tendono, però, a risalire nuovamente fino a superare in molti casi i valori pre-trattamento. Questo fa sì, che dopo un iniziale controllo dei valori pressori da parte di questi farmaci, si assista ad un nuovo aumento dei valori pressori. Questo fenomeno è dovuto al fatto che l’organismo attiva meccanismi alternativi che inducono, comunque, alla produzione dell’ormone. In questi pazienti l’uso di un antagonista recettoriale dell’aldosterone potrebbe aiutare ad ovviare a questo problema.

Controllare i valori pressori, infine, vuol dire evitare danni a diversi distretti del corpo umano. “In particolare, l’aumento della pressione arteriosa produce danni a livello delle arterie dei vari organi (cuore, cervello, rene, retina) a causa del sommarsi di ripetuti microtraumi alla parete vascolare protratti per mesi o anni – aggiunge Giuseppe Derosa Responsabile Dipartimento Diabete e Malattie Metaboliche Policlinico San Matteo – Università di Pavia – Anche il cuore viene danneggiato da elevati valori pressori: il cuore è un muscolo e, come tutti i muscoli, quando viene sottoposto ad un lavoro maggiore, diventa ipertrofico. A livello renale, l’ipertensione può produrre una progressiva riduzione di volume e della funzionalità renale con perdita di proteine nelle urine per danno al filtro renale fino all’insufficienza renale. A livello oculare l’ipertensione può portare, negli anni, alla cecità”.

fonte: ufficio stampa

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