Intervista al prof. Matteo Bassetti, vicepresidente della Società Italiana Terapia Antinfettiva – SITA
La stewardship antimicrobica è considerata sinonimo di utilizzo ottimale degli antibiotici. Cosa significa dunque usare meglio gli antibiotici?
Il primo passo è capire che un migliore utilizzo degli antibiotici significa non usarli se non ce n’è davvero bisogno. Questo vale sì per i medici, ma anche per gli utilizzatori, ovveroi pazienti, i quali non devono trovare nell’antibiotico la prima soluzione quando gli si diagnostica un raffreddore, un’influenza, delle bronchiti blande o l’urina torbida.
Allo stesso tempo non bisogna nemmeno lanciare il messaggio che non vadano utilizzati. In sostanza, se non servono non bisogna usarli, ma se servono nel loro utilizzo bisogna seguire una serie di regole, le stesse alla base della cosiddetta Stewardhip: dare il farmaco giusto, alla giusta dose, per la giusta durata e con il giusto ritmo di somministrazione.
Sembrano concetti semplici ma in realtà non lo sono: basti pensare a cosa succede abitualmente anche fuori dall’ospedale, con pazienti che autonomamente sospendono la terapia antibiotica quando non la ritengono più utile, o cambiano i dosaggi e i tempi di somministrazione; tutto ciò non è utile, e al contrario fa sì che i batteri sviluppino resistenza, perché non trattati adeguatamente.
Purtroppo la corretta Stewardship non viene applicata spesso nemmeno in ambito ospedaliero;per questa ragione i germi più forti, più potenti e aggressivi proliferano proprio in ospedale. Non c’è dunque una regola unica o un’unica azione da compiere; il presupposto di partenza è non pensare che gli antibiotici siano l’origine di tutti i mali, e quindi darli o usarli quando serve, ma tenere in considerazione allo stesso tempo che ci sono una serie di situazioni in cui non vanno utilizzati.
Le infezioni contratte in ospedale sono prevenibili? Cosa significa, e quali strumenti abbiamo a disposizione per “prevenire” l’esordio delle infezioni nosocomiali?
Le infezioni ospedaliere sono per definizione prevenibili, ma non eliminabili. Questo è un concetto molto importante, dato che ad esempio oggi si fa molto ricorso alle cause giuridiche nei confronti dell’ospedale per casi di infezione contratta. Il rischio infettivologico è uno dei rischi ammessi nelle procedure che avvengono in ospedale, così come il rischio anestesiologico o quello trombo-embolico. È considerato tollerabile fino al 4-5% dei casi, per cui lo sforzo da fare è quello di rimanere vicini a questa percentuale.
Cosa si può fare per prevenire? Si possono mettere in atto una serie di accorgimenti: in primis usare in maniera appropriata gli antibiotici (i prontuari per un’adeguata Stewardship sono solo uno degli strumenti che noi abbiamo a disposizione);in secondo luogo bisogna seguire le misure di infection control, che comprendono non solo il lavaggio delle mani ma anche l’isolamento dei pazienti infetti o colonizzati dai germi multiresistenti, la gestione del sovraffollamento delle corsie, il tentativo di ricoverare i pazienti in stanze singole o comunque di tenerli ad una adeguata distanza reciproca.
Anche la gestione del personale è un passaggio fondamentale; in particolare in aree critiche come la terapia intensiva o l’ematologia, avere un numero congruo di medici e di infermieri consente anche un’assistenza adeguata. Un passaggio fondamentale riguarda comunque la presa di consapevolezza del fatto che gli antibiotici possono favorire la resistenza batterica, e che proprio per questo vanno utilizzati correttamente.
In conclusione si può affermare che non è corretto ragionare sul singolo paziente, ma piuttosto sulla comunità di un medesimo ambiente.