Roma, 13 giugno 2022 – Giugno è il mese mondiale dedicato all’infertilità. Sono molte le coppie che per motivi sociali, lavorativi e familiari rimandano il momento del concepimento. Quando poi si trova il momento giusto, la cicogna magari non arriva. Dopo quanto tempo di rapporti liberi bisogna preoccuparsi? Quali sono gli esami che una coppia deve fare per comprendere il suo stato di fertilità? Quanto pesa l’età di una donna sulla sua fertilità? Quando si può essere ‘certi’ di essere sterili? L’agenzia di stampa Dire ha affrontato il complesso tema con il dott. Antonio Lanzone, ginecologo presso IRCCS Gemelli.
Esistono giorni ‘giusti’ per avere rapporti mirati e preservare la qualità dello sperma? E se sì come individuarli?
Esistono i giorni del periodo fertile nei quali più che la capacità dello sperma, è l’accettabilità del seme nelle vie genitali femminili che è massima. Questo accade perché il muco cervicale funge da ‘rinforzatore’ della vitalità dello sperma e permette agli spermatozoi di sopravvivere più a lungo rispetto ad altri periodi. Si tratta degli stessi giorni nei quali è massima anche la fertilità della donna ossia intorno ai due giorni prima o il giorno prima dall’ovulazione. A differenza di quanto si pensa al momento stesso dell’ovulazione la fertilità scende perché la cellula uovo sopravvive per massimo 12/24 ore.
Dopo quanto tempo una coppia che pratica i rapporti liberi ‘infruttuosi’ può essere definita infertile?
Una coppia che non ha problemi di salute diagnostica possiamo considerare come tempo limite due anni di rapporti liberi. Si può oscillare in un range comunque di 1 anno fino ai 2 anni di rapporti liberi infruttuosi. Questo perché le coppie, entro un anno, nel 90% dei casi raggiungono una gravidanza e hanno un figlio. Solo il 10% di coppie che non hanno problemi di salute non riescono perciò entro 1 anno ad avere la gravidanza.
A due anni di rapporti liberi arriviamo al 97% quindi lasciando un anno di tempo in più per la possibilità di avere figli. Bisogna in ogni caso, in questo periodo di tempo di ‘prove’, raccogliere un’anamnesi accurata per capire se in una coppia vi sono elementi o no di rischio. In quel caso il tempo per provare ad avere spontaneamente un figlio si accorcia.
Può spiegare quali sono gli esami clinici e le indagini che lei prescrive alle sue pazienti e al partner per capire se c’è un problema di salute?
Il percorso diagnostico prevede tre step: numero uno la ‘bontà’ cioè la qualità dell’ovulazione, secondo la funzionalità delle tube e dell’utero e terzo aspetto l’esame seminale dello sperma maschile. Questi sono i tre fattori fondamentali da indagare subito. La cosa che conviene fare è l’esame seminale per fare la conta e sapere qual è la percentuale degli spermatozoi mobili e ben conformati e fare esame colturale del liquido seminale per vedere se vi sono infezioni maschili da curare con delle terapie.
In parallelo per la donna sarà necessario indagare, mantenendo ben in mente che esiste il fattore età, che crea davvero uno spartiacque. Sotto i 35 anni una donna normalmente ovula e può essere considerata una donna che produce ovociti di buona qualità ma con l’andare avanti dell’età anagrafica l’ovulazione e la buona qualità degli ovociti si dissociano. Dopo i 35/38/40 anni, benché possa ben ovulare e avere cicli normali, la qualità degli ovociti prodotti scende e può compromettere la stessa fertilizzazione degli spermatozoi. Grazie perciò alla valutazione della riserva ovarica possiamo dare uno schema di prospettiva ipotetica di quanto la coppia in questione possa rischiare di non riuscire ad avere dei figli.
Perciò si procede così: al terzo giorno di ciclo mestruale si effettua un prelievo di sangue per valutare l’Fsh, l’estradiolo e l’Ormone antimulleriano. Questi tre marcatori saranno indicativi della quota degli ovociti presenti e della loro qualità. È necessario procedere con una visione ecografica che offre la conta dei follicoli antrali, se siamo sotto i 3 follicoli antrali per ovaio parliamo già di bassa riserva ovarica per la donna.
L’ultima tappa da compiere è valutare la normale conformazione dell’utero e la pervietà delle tube con un esame che si chiama sonoisterosalpingografia, esame che si effettua tramite una ecografia transvaginale usando una soluzione fisiologica che funge da contrasto. Questo consente allo specialista di vedere sia le condizioni dell’utero che delle tube. Questo esame ha in larga parte soppiantato negli ultimi 10 anni un altro esame più ‘invasivo’ che era l’isterosalpingografia.
Quali patologie, anche familiari, possono impattare sul concepimento?
Ci sono situazioni genetiche che possono impattare. Sappiamo che ci sono in alcune forme di ipofunzione testicolare e funzione ovarica alterate visibili con l’esame genetico. È importante constatare anche le alterazioni come la fibrosi cistica ed altre situazioni genetiche connesse con la sterilità. Altre situazioni, anche familiari, che possono abbassare la fertilità esistono come ad esempio l’obesità che abbassa la fertilità sia degli spermatozoi che degli ovociti.
La carriera, la società, la mancanza di un partner stabile e affidabile, il pensare “c’è tempo”… spesso fanno tardare il momento del concepimento. Un ultimo appello alle donne e agli uomini che ci stanno seguendo?
Questo è il problema dei problemi. La qualità degli ovociti, come detto nella prima parte, con l’avanzare dell’età nella donna diminuisce a tal punto che da un certo momento anche le tecniche di riproduzione assistita falliscono perché l’ovocita non riesce ad essere fertilizzato nemmeno iniettando al suo interno, in laboratorio, lo spermatozoo. Da qui spesso il ricorso all’eterologa.
Questa diminuzione di capacità precede di 10-12 anni la menopausa, ovviamente nessuna donna sa quando andrà in menopausa. La media dell’età solitamente è intorno ai 50 anni. Perciò il 37esimo anno d’età incomincia ad essere un momento ‘critico’ per la fertilità. Biologicamente la situazione è questa. C’è un timing ‘predefinito’ in tema di fertilità.
È spiacevole dirlo ma va constato che per diversi motivi l’Italia è un paese che rischia di inabissarsi dal punto di vista della popolazione nel lasso di 20 anni. I motivi sono molteplici e perché manca un buon welfare. La carriera poi ha un suo ‘peso’ e poi spesso si pensa comunque “il figlio arriverà” se non naturalmente tramite la PMA ma questo è sbagliato perché è dimostrato che con l’innalzarsi dell’età anche le tecniche di procreazione medicalmente assistita falliscono e diventa tardi.
A 50 anni pensare a una gravidanza, anche antropologicamente può essere troppo tardi. Ci dobbiamo costruire una modalità meno egoistica della società. Dico che possiamo anche programmare le tappe della nostra carriera in un’armonia di coppia e bisogna costruire con più ottimismo una visione della vita. È sbagliato pensare, a mio avviso, che fino a quando le circostanze di vita non sono ottimali non si possa pensare ad un figlio.
(fonte: Agenzia Dire)