Servono nuove prospettive terapeutiche integrate e personalizzate per questi pazienti ora che anche l’unica terapia su cui si riponevano speranze, l’aspirazione del trombo, è stata dimostrata inefficace.
Un editoriale sul “New England Journal of Medicine” del direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari del Policlinico Universitario A. Gemelli certifica il “de profundis” della “trombo-aspirazione”.
Ricercatori dell’Università Cattolica a caccia di nuove terapie per questi pazienti con prognosi più negativa
Roma, 18 marzo 2015 – L’infarto non sempre trae benefici dall’angioplastica, quando ci sono anche problemi di flusso sanguigno nel cosiddetto microcircolo (piccoli vasi e capillari) nel cuore. Per questi pazienti, circa uno su tre, bisogna cercare soluzioni sempre più personalizzate e anche la speranza di una soluzione che si era intravista alcuni anni fa in una nuova terapia (la cosiddetta trombo-aspirazione) non ha trovato conferme.
Si deve guardare avanti verso lo sviluppo di nuove strategie per cambiare la sorte di questi pazienti più sfortunati. Lo spiega il prof. Filippo Crea del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore-Policlinico A. Gemelli di Roma in un’editoriale appena pubblicato sulla prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine” a commento di un grosso studio clinico – chiamato TOTAL – coordinato in Canada dal Dr Sanjit Jolly della McMaster University (Hamilton, Ontario) e pubblicato sulla medesima rivista.
I ricercatori dell’Istituto di Cardiologia dell’Università Cattolica sono in prima fila nella ricerca di procedure alternative per riscrivere la sorte di questi pazienti più difficili, per esempio è in corso una ricerca basata sull’utilizzazione del laser e un’altra è stata recentemente pubblicata sull’uso dell’adenosina con risultati promettenti.
L’infarto cosiddetto “STEMI” è il più grave di tutti perché caratterizzato dall’ostruzione completa dell’arteria coronarica che ossigena il cuore. L’angioplastica primaria migliora la prognosi del paziente, ma in circa un terzo dei pazienti il vantaggio della procedura risulta annullato dal fatto che il sangue non riesce comunque a raggiungere il cuore per un’ostruzione del microcircolo.
Lo studio TOTAL (N Engl J Med. 2015 Randomized Trial of Primary PCI with or without Routine Manual Thrombectomy DOI: 10.1056/NEJMoa1415098 S.S. Jolly et al.) dimostra che una soluzione terapeutica proposta alcuni anni fa, detta trombo-aspirazione, in realtà non funziona. La trombo-aspirazione, come indica il nome stesso, è una procedura che consiste nell’aspirare il trombo nella coronaria prima di riaprirla con uno stent durante l’angioplastica.
“L’idea di fondo – spiega il prof. Crea nell’editoriale di NEJM – era che eliminando il trombo si potesse prevenire l’ostruzione del microcircolo e quindi risolvere il problema di questi pazienti che non traggono tutti i benefici che potrebbero trarre dall’angioplastica primaria. Ma lo studio multicentrico TOTAL dimostra che in realtà la trombo-aspirazione non cambia la sorte di questi pazienti, risultando del tutto ininfluente sulla loro prognosi finale”.
“Lo studio TOTAL e il mio editoriale – spiega l’Ordinario di Cardiologia della Cattolica Crea, che è uno dei massimi esperti mondiali di microcircolo coronarico – certificano il ‘de profundis’ di questa tecnica come di routine da utilizzare in tutti i pazienti; serve una nuova prospettiva su come affrontare questo problema che resta irrisolto”.
“Se vogliamo dare una risposta al problema dell’ostruzione del microcircolo bisogna riconsiderare il tutto su basi nuove – aggiunge il prof. Crea – A mio avviso la prospettiva da seguire per trovare una soluzione a questo problema è innanzitutto quella di personalizzare al massimo gli interventi perché l’ostruzione del microcircolo può dipendere da vari fattori, ciascuno con un peso diverso da paziente a paziente”.
Inoltre va emergendo sempre di più il fatto che per questi pazienti vi siano già prima dell’infarto delle disfunzioni pregresse del microcircolo coronarico e che queste siano in realtà una causa pre-esistente della prognosi non positiva. “Serve quindi un approccio integrato e personalizzato che tenga conto di tutti questi fattori in gioco per risolvere il problema del microcircolo – conclude – È tempo di rivolgere l’attenzione allo sviluppo di trattamenti integrati e senza soluzione di continuità, in un continuum che parta dalla comparsa dei sintomi al ritorno del paziente alla sua vita normale”.
fonte: ufficio stampa