Milano, 5 dicembre 2020 – Il Centro Cardiologico Monzino, primo ospedale italiano per numero di interventi di angioplastica coronarica (procedura salvavita nel caso di infarto acuto) conferma una inversione di tendenza nella mortalità per infarto: infatti, se nel periodo 20 febbraio-30 marzo di quest’anno il tasso è aumentato di quattro volte, passando dal 5% al 19 %, da aprile la curva ha iniziato lentamente a scendere e, se la tendenza continuasse, potrebbe riallinearsi ai valori pre-covid entro la fine dell’anno.
Proprio nell’aprile scorso, dal Monzino, Antonio Bartorelli, Responsabile della Cardiologia Interventistica, Giancarlo Marenzi, Responsabile dell’ Unità di Terapia Intensiva Cardiologica e Nicola Cosentino, dello staff dell’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica sono stati fra i primi a lanciare l’allarme con uno studio osservazionale: dallo scoppio dell’emergenza Covid-19 in Italia oltre al significativo aumento della mortalità per infarto acuto dei pazienti ospedalizzati si è evidenziata una notevole diminuzione dei ricoveri per questa patologia.
“Nei primi mesi della pandemia i pazienti con infarto si presentavano con un ritardo medio di quattro ore – spiega Bartorelli – Se in epoca pre-covid il malato raggiungeva il nostro Pronto Soccorso in media dopo 3 ore dalla comparsa dei primi sintomi, questo intervallo di tempo si è dilatato fino a 7,5 ore con il diffondersi del virus. Inoltre, in uno studio che ha confrontato le ospedalizzazioni per infarto miocardico acuto in Italia nella settimana dal 12 al 19 marzo di quest’anno con quelle dello stesso periodo del 2019, è stata osservata una diminuzione del 48% dei ricoveri per questa patologia”.
“Purtroppo, in Italia come nel resto del mondo, la gente rimandava il più possibile l’accesso all’ospedale per paura del contagio e chi arrivava da noi con ritardo aveva in molti casi una condizione già compromessa, che inevitabilmente rendeva meno efficaci gli interventi salvavita, come l’angioplastica coronarica. Oppure, in molti casi, il paziente rinunciava del tutto a farsi curare, come dimostra il notevole aumento osservato in Lombardia delle morti secondarie ad arresto cardiaco nei 40 giorni successivi al primo caso di Covid-19, registrato il 20 febbraio 2020. È verosimile che molti di questi casi fossero dovuti a infarti acuti non trattati”, prosegue Bartorelli.
Il grido d’allarme dei cardiologi e le campagne informative di società scientifiche e ospedali sono tuttavia riuscite a frenare questa tragica escalation di decessi.
“Dopo il paralizzante shock iniziale – continua Bartorelli – la gente ha capito che i centri cardiologici specializzati si sono organizzati per curare anche le emergenze in sicurezza. Abbiamo fatto rete a livello regionale e noi al Monzino, in quanto hub cardiologico (vale a dire ospedale di riferimento per pazienti cardiopatici non Covid) abbiamo creato percorsi e aree separate Covid-free, riuscendo a contenere al minimo il contagio fra pazienti e mantenendo allo stesso tempo il massimo standard di cura. Tuttavia ancora non c’è piena consapevolezza di quanto è stato fatto a livello organizzativo e di ricerca per proteggere i pazienti cardiopatici dal virus e la pubblica opinione è ancora intimorita dalla pressione esercitata dal virus sul sistema ospedaliero nel suo insieme. Gli accessi sono migliorati come quantità e come tempismo, ma si deve fare ancora meglio per allinearsi agli standard di guarigione pre-covid. Quindi dal Monzino rinnoviamo l’appello di aprile: rivolgetevi subito al Pronto Soccorso appena appaiono i primi sintomi che possono far pensare a un infarto acuto”.
“L’emergenza pandemica, con il correlato impatto di migliaia di ricoveri Covid correlati, ha ‘sfigurato’ i connotati di molti ospedali, anche quelli con unità operative afferenti all’area delle alte specialità – dichiara Luca Merlino, Direttore Generale Monzino – Negli ultimi anni, purtroppo, l’ambito delle alte specialità è stato trattato in modo eccessivamente ideologico in termini di suddivisione dell’offerta tra erogatori pubblici e privati e di numero di unità operative quasi sempre considerate in eccesso numerico. Poco si è parlato di qualità e di efficacia delle attività erogate, temi questi timidamente introdotti dal PNE (piano nazionale esiti) ma ancora poco considerati come strumento di programmazione e di valutazione sia a livello centrale che periferico”.
“Durante questo periodo di grande e mai prima sperimentata emergenza – conclude Merlino – si è capito che per alcune patologie (cardiovascolari ed oncologiche ad esempio) bisogna individuare dei centri ospedalieri e dei percorsi che siano in grado di erogare un minimo ‘vitale’ di servizi, che siano garantibili anche in periodi di forzato ed inevitabile utilizzo anomalo ed emergenziale della rete ospedaliera. Mi auguro che il modello degli hub & spoke o, ancora meglio, di nodi essenziali ed imprescindibili nel contesto di una rete di offerta di servizi, sia consolidato anche quando l’emergenza covid sarà terminata con l’obiettivo di poter ottimizzare l’offerta delle prestazioni di alta specialità, perseguendo obiettivi non solo di risparmio ma soprattutto di miglioramento della qualità e della efficacia dei servizi anche favorendo lo scambio di know how e permettendo, come sta accadendo oggi nei centri hub, ai professionisti di altri centri di accedervi e di potervi gestire i loro pazienti, in un contesto più sicuro e con migliori dotazioni tecnologiche”.