Torino, 18 gennaio 2016 – Per la prima volta al mondo è stata scoperta da ricercatori torinesi della Città della Salute e finlandesi la mutazione associata al gene SLC19A3 del trasportatore hTHTR2 della vitamina B1 (tiamina) che protegge dallo sviluppo di retinopatia e nefropatia, ovvero le gravi complicanze del diabete. La scoperta è stata appena pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Diabetes.
Il diabete mellito, sia il tipo 1, la forma giovanile che richiede insulina per sopravvivere, sia il tipo 2 dell’età più avanzata, è in rapido aumento in tutti i Paesi del mondo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Federazione Internazionale del Diabete prevedono che dai 387 milioni di persone malate nel 2014 si arriverà a circa 600 milioni entro il 2035, di tipo 1 nel 5-10% dei casi. Nel nostro Paese, secondo le ultime statistiche diffuse da Diabete Italia, il 4,9% della popolazione (3 milioni di persone) ha una diagnosi di diabete e un altro milione (1,6%) ha già il diabete senza ancora aver ricevuto una diagnosi.
Il problema più importante del diabete è costituito dalle sue complicanze croniche: la retinopatia è la prima causa di perdita della vista in età lavorativa e una delle prime cause di cecità in assoluto; la nefropatia è oggi la prima causa di dialisi e trapianto renale. Inoltre, il diabete aumenta di 2-3 volte il rischio di infarto e ictus e più di 20 volte le probabilità di subire un’amputazione agli arti inferiori nel corso della vita.
Per prevenire questi effetti si cerca di mantenere i livelli della glicemia e della pressione arteriosa più vicini possibili ai valori di chi non è diabetico, ma i pazienti e i loro medici sanno bene quanto ciò sia difficile e come questi obiettivi si raggiungano in non più della metà dei casi. Inoltre, le complicanze possono svilupparsi anche se glicemia e pressione sono soddisfacenti, mentre vi sono pazienti che non sviluppano complicanze nonostante glicemie molto alte nel corso di lunghi anni. Questo ha fatto sospettare l’esistenza di fattori genetici che possono proteggere, o favorire, lo sviluppo delle complicanze. Però, finora, i tentativi di identificare questi fattori avevano dato esito negativo.
Un lavoro appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Diabetes”, autorevole organo della American Diabetes Association, riferisce l’identificazione di una mutazione protettiva da parte di un gruppo di ricercatori italiani, finlandesi ed americani. Il razionale scientifico prende le mosse da esperimenti pubblicati dal Laboratorio di Retinopatia Diabetica della Medicina Interna 1 universitaria dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino (diretti dal prof. Massimo Porta).
Nel 1996 si era dimostrato a Torino che la vitamina B1, anche nota come tiamina, corregge molte delle anomalie indotte da alte concentrazioni di glucosio (simili a quelle riscontrate nel sangue dei pazienti diabetici) in modelli di colture cellulari. Il dato era stato successivamente confermato, anche nell’animale, in laboratori inglesi, tedeschi e americani. A Torino si era perciò ipotizzato che mutazioni nei geni che codificano la produzione dei trasportatori della tiamina (le sostanze deputate a portarla dentro le cellule) potessero essere responsabili di meccanismi geneticamente determinati capaci di indurre resistenza oppure suscettibilità alle complicanze del diabete. Per verificare l’ipotesi ci si era rivolti al prof. Per-Henrik Groop, responsabile a Helsinki del Finnish Diabetic Nephropathy (FinnDiane) Study, un gruppo di ricerca che ha raccolto la maggior casistica mondiale di pazienti con diabete tipo 1, analizzandone l’intera sequenza genomica e raccogliendo molti altri dati rilevanti, tra i quali i livelli di retinopatia e nefropatia e il grado di compenso glicemico e pressorio.
È stato così possibile identificare due mutazioni puntiformi (single nucleotide polymorphisms o SNP) vicine al gene SLC19A3, che codifica per il trasportatore della tiamina hTHTR2, che risultano con altissima significatività statistica protettivi nei confronti delle forme più gravi di retinopatia e insufficienza renale, indipendentemente dal compenso glicemico e da tutte le altre variabili cliniche.
I risultati sono stati in parte replicati nei pazienti di altre due casistiche statunitensi indipendenti, il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT/EDIC) e il Wisconsin Epidemiology Study of Diabetic Retinopathy (WESDR), confermando l’effetto protettivo di una delle due mutazioni di SLC19A3 identificate in Finlandia ed aumentandone la significatività statistica fino al livello di genome-wide significance sia prima che dopo correzione per il grado di compenso glicemico e gli altri dati clinici.
Questo studio, condotto su tre tra le più ampie casistiche oggi disponibili a livello internazionale di pazienti con diabete tipo 1 e DNA genomico sequenziato, dimostra per la prima volta l’associazione tra un gene candidato sulla base di precisi dati di laboratorio e le forme più gravi di retinopatia e nefropatia diabetica. Rimane naturalmente da compiere molto lavoro di ricerca per chiarire il significato biologico della mutazione individuata. Inoltre, in futuro, si potrebbe aprire la possibilità di individuare precocemente i pazienti che avranno minor rischio di sviluppare retinopatia e nefropatia gravi.
fonte: ufficio stampa