Roma, 20 agosto 2019 – La Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici (FNCF) apprende da quanto comunicato a livello mediatico e stampa dell’incidente dell’8 agosto 2019, avvenuto durante un test missilistico, presso la base militare russa nei pressi della città di Nenoska, vicino al Mar Bianco.
Ad oggi non è stato ancora reso noto, essendo coperto da segreto militare, se l’incidente occorso riguardi un missile dotato solo di propulsore nucleare o anche di testata, oppure riguardi un nuovo tipo di propulsione singola radioisotopica termoelettrica.
Giusto per dare un’idea generale, i missili a propulsione nucleare hanno solitamente una doppia propulsione, la prima data da un motore a razzo a combustibile chimico che fornisce la spinta iniziale, la seconda da un motore nucleare che utilizza il calore di un piccolo reattore nucleare per generare la spinta successiva.
Il vantaggio della doppia propulsione è dato dal fatto che la propulsione nucleare necessita di poco combustibile, è più potente e dura molto di più di quella chimica e quindi può portare più “carico” (es una bomba nucleare), molto più lontano e a grande velocità anche fino a 10 mach (1 mach = velocità del suono = 1.191 km/h). Naturalmente utilizzare un reattore nucleare nel motore di un missile è una cosa particolarmente complessa, sofisticata e delicata, che richiede particolari attenzioni vista la necessità di ridurre schermature e protezioni per evitare aumenti di peso del missile e dunque poter sprigionare grande potenza e permettere al missile di raggiungere grandi velocità e distanze.
Per fare un esempio della portata di questi missili, “un missile a propulsione nucleare – riferisce il dott. Fisico G. Scalzo – può trasportare una bomba nucleare, può raggiungere velocità anche superiori a 10.000 Km/h ed è pertanto difficilmente intercettabile dai sistemi di difesa in quanto può impiegare una decina minuti per arrivare alla distanza di 2.000 Km”.
Il test missilistico, come già detto, è naturalmente coperto da segreto militare ma è verosimile che data la presenza di radiazioni gamma qualcosa sia andato fuori controllo nella reazione. La stampa conferma che l’esplosione avvenuta ha provocato la morte di cinque tecnici specialistici e due funzionari del governo mentre non si hanno notizie certe di quanti altri siano rimasti coinvolti dall’esplosione.
È emerso il fatto che i sanitari che hanno prestato soccorso ai feriti (pare una sessantina) non erano stati avvisati dell’esposizione a radiazioni e della possibile contaminazione con materie radioattive.
Merita sottolineare che queste tipologie di test possono comportare il rischio di esposizioni a radiazioni e ricadute pertanto sia sull’ambiente che sulla popolazione. Proprio questa preoccupazione, e soprattutto l’assenza di informazioni certe, ha portato diversi enti ed istituzioni a vario titolo ad effettuare rilievi e misurazioni a differenti distanze.
“La FNCF – sottolinea il Presidente Nausicaa Orlandi – ritiene importante che la popolazione abbia delle informazioni complete e non discordi in modo da garantire la salute e sicurezza della collettività ed evitare l’insorgere di fake news lesive. Nell’ambito del proprio ruolo di ente pubblico, organo sussidiario dello stato, la FNCF si mette a disposizione delle istituzioni e della comunità per fornire supporto e chiarimenti, ove necessario, avvalendosi del contribuito dei propri professionisti chimici e fisici esperti nell’ambito nucleare, di radioisotopi, di radiazioni e di radioprotezione”.
Per quanto riguarda le radiazioni emesse e dunque il livello di contaminazione ambientale, la stampa riporta che il governo russo dai rilevamenti fatti in sei stazioni distanti una cinquantina di chilometri dal luogo dell’incidente rivelano un valore di radioattività pari a circa 16 volte il fondo ambientale normalmente misurato.
“Un dato di questo genere, peraltro concorde con quello riportato ad esempio da Greenpeace (20 volte il normale), fa pensare – riferisce il dott. Fisico L. Bianchi – che l’incidente vi sia stato ma senza contaminazione rilevante per zone che si trovano a distanze superiori a un centinaio di km. Per avere un paragone basti pensare che l’incidente occorso alla centrale di Chernobyl evidenziò un valore di aumento di fondo di centinaia di migliaia di volte”.
Nonostante dopo l’evento sia stato registrato un breve e circoscritto picco di radiazioni, la stampa riporta inoltre che nelle aree limitrofe all’incidente si è verificato un incremento nell’acquisto di Iodio.
“Tale sostanza – riferisce il dott. Chimico E. Cazzola – viene impiegata in caso di fughe nucleari per bloccare la tiroide e limitare i potenziali danni derivanti da esposizione a radioisotopi di Iodio. Gli isotopi dello Iodio sono prodotti in grandi quantità durante gli incidenti nucleari essendo generati dalla fissione dell’Uranio. Lo Iodio, e quindi anche i suoi radioisotopi, è accumulato nella tiroide che lo impiega per la sintesi ormonale. Come è facile comprendere qualora i radioisotopi dello iodio si sostituissero nel metabolismo tiroideo, si innescherebbero una serie di gravi patologie all’organo stesso e ad altri collegati”.
Si resta ad ogni modo in attesa di ulteriori dati e informazioni tenendo conto che probabilmente saranno effettuati altri rilievi e misurazioni in altre centraline di controllo degli stati Europei. L’assenza di chiarezza, infatti, nelle comunicazioni interne e verso l’estero, non aiuta certo a guadagnare la fiducia, sia della popolazione che delle autorità, in particolare vista la tipologia di incidente avvenuto che sembra confermare una continua ricerca e sviluppo di armi sempre più sofisticate.
“La Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e Fisici – riporta il Presidente Orlandi – resta sicuramente a disposizione delle istituzioni per fornire il supporto necessario atto a dare un’informazione corretta, chiarire eventuali dubbi e preoccupazioni in tema di radiazioni e relative implicazioni sulla salute delle persone e sull’ambiente”.