Studio dell’Università Cattolica sull’insicurezza alimentare in 6 macro aree italiane, in Lombardia, Lazio, Marche, Campania, Puglia, Sicilia. Più a rischio bimbi del Sud, da famiglie numerose, con genitori poco istruiti e poco abbienti
Roma, 4 novembre 2020 – Un bambino italiano su 7 vive in una situazione di insicurezza alimentare, ovvero le famiglie non sempre possono permettersi un’alimentazione sana e bilanciata e spesso il criterio di acquisto è il prezzo del prodotto, col risultato di diete poco varie e a base di cibo di qualità inadeguata. Più a rischio i bambini del Sud, con famiglie numerose, genitori poco istruiti e giovani e con reddito basso.
Inoltre, si stima che per un bambino su 5 la famiglia di appartenenza vive nel timore di non avere soldi a sufficienza per acquistare il cibo fino alla fine del mese. Nella metà di questi casi, le famiglie non hanno realmente avuto risorse finanziarie sufficienti per acquistare cibo.
Sono i dati principali emersi da uno studio condotto dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica dell’Università Cattolica, sotto la guida dei docenti dell’Ateneo del Sacro Cuore prof. Walter Ricciardi, Ordinario di Igiene generale e applicata e della prof.ssa Maria Luisa Di Pietro, Associato di Medicina Legale, e il coordinamento scientifico della prof.ssa Chiara de Waure, Associato di Igiene all’Università degli Studi di Perugia e della dott.ssa Drieda Zace, Dottoranda in Scienze biomediche di base e Sanità pubblica all’Università Cattolica, anche grazie alla collaborazione di alcuni Pediatri di libera scelta dell’Associazione Culturale Pediatri. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Food Security.
“E il dato – spiega la prof.ssa Di Pietro – potrebbe essere addirittura una sottostima, in quanto lo studio – unico nel nostro Paese, sulla condizione economica, sull’accesso al cibo e sullo stato di salute dei bambini italiani – non è stato esteso ai sobborghi disagiati dove sicuramente sono maggiori i disagi socio-economici delle famiglie. Inoltre, poiché gli esperti si sono serviti dell’Indice Household Food Security, che analizza, in modo anche molto ‘crudo’, la situazione economica delle famiglie e le ricadute sull’acquisto del cibo alcuni dei partecipanti potrebbero avere riportato in maniera ‘edulcorata’ la propria situazione per imbarazzo”.
“Lo studio riporta dati sul periodo 2017-2018, cosa che significa che la situazione potrebbe essere peggiorata considerando la situazione di pandemia di Covid-19 e la crisi economica che il Paese sta attraversando”, sottolinea la professoressa Di Pietro.
“C’è anche il rischio – continua Di Pietro – che con la chiusura delle scuole durante il lockdown e quindi con il mancato accesso alle mense scolastiche, che comunque sono garanzia di un pasto completo ed equilibrato per i bambini, l’insicurezza alimentare per i piccoli, specie se provenienti da contesti disagiati, può essere aumentata”.
Background
L’insicurezza alimentare (Food Insecurity) è un grave problema di salute pubblica anche nei Paesi sviluppati. La sicurezza alimentare (Food Security) si ottiene quando tutte le persone, in ogni momento della propria vita, hanno accesso fisico ed economico ad una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente per soddisfare le esigenze nutrizionali e le preferenze alimentari per una vita attiva e sana.
L’insicurezza alimentare è un fenomeno preoccupante per tutta la popolazione, in modo particolare per i bambini, a causa delle ricadute negative sulla loro salute. In molti Paesi europei, tra cui l’Italia, le evidenze epidemiologiche sulla insicurezza alimentare e la loro correlazione con i danni per la salute attuale e futura dei bambini sono poche o quasi assenti.
In Italia, i bambini vivono in condizione di disuguaglianze a partire già dai primi anni di vita. Le disuguaglianze socio-economiche sono conseguenza anche del fatto che la spesa sociale per i bambini è tra le più basse in Europa, con importanti differenze tra le varie regioni nell’accesso ai servizi per i bambini e per le loro famiglie. La povertà economica è associata alla povertà educativa e culturale e condiziona i cosiddetti “determinanti di salute” che sono associati anche all’insicurezza alimentare.
Lo studio
Lo studio, che ha stimato la prevalenza dei bambini italiani che vivono in una situazione di insicurezza alimentare, i fattori socio-economici ad essa associati e l’impatto sullo stato di salute dei piccoli, si è concluso nel 2019 ed ha preso in esame 6 macro aree italiane: Lombardia (Milano), Lazio (Roma), Marche (Jesi), Campania (Caserta), Puglia (Brindisi, Lecce), Sicilia (Palermo). Sono stati inclusi solo bambini di età compresa tra 1 e 11 anni, nati in Italia, con genitori di nazionalità italiana, seguiti regolarmente da un pediatra di libera scelta.
Lo studio si è basato su due questionari, uno indirizzato al genitore per raccogliere informazioni sulla situazione socio-demografica ed economica, la salute del bambino e l’indice di sicurezza alimentare delle famiglie; l’altro questionario era rivolto al pediatra di libera scelta con la richiesta di informazioni quali peso, altezza, circonferenza cranica, sulla salute fisica, psicomotoria, relazionale e dentale del bambino e sulla presenza di difficoltà scolastiche e di svolgimento di attività fisica.
Su un campione di 573 bambini, si è evidenziato che 1 bambino su 7 vive in una situazione di insicurezza alimentare. Le macro aree risultate più critiche sono state in ordine decrescente la Campania (Caserta) e, a breve distanza, il Lazio (Roma) e la Sicilia (Palermo).
Vivere nel Sud Italia, in famiglie numerose, con un reddito basso, genitori di giovane età e con basso livello di istruzione sono risultati i fattori predittori più frequenti di insicurezza alimentare.
“Dallo studio è emerso – sottolinea la prof.ssa Di Pietro – che un quarto dei bambini coinvolti vive in famiglie che non sempre possono permettersi di mangiare pasti bilanciati da un punto di vista nutrizionale. In un terzo dei casi, le famiglie cercano di sopperire alla mancanza di soldi acquistando cibo a basso costo e non variato. Questo comporta che i bambini non hanno disponibilità di tutti i nutrienti di cui hanno bisogno per la crescita”.
E le conseguenze a scapito dei piccoli sono già visibili: tra i bambini che non mangiano bene sono più frequenti i problemi della vista, relazionali, difficoltà psicomotorie, problemi dentali e fisici e incremento delle difficoltà scolastiche.
“Lo studio mette probabilmente in luce solo la punta di un iceberg – avverte la professoressa Di Pietro – I dati qui ottenuti potrebbero essere una sottostima della situazione reale, anche perché i genitori tendono spesso a nascondere la verità della condizione della famiglia per vergogna. Lo studio non ha, inoltre, coinvolto zone delle città già notoriamente povere in cui senza dubbio l’insicurezza alimentare è più diffusa”.
Si tratta di un problema che richiede grande attenzione, a partire dall’utilizzo di screening a tappeto sull’insicurezza alimentare con monitoraggi a scadenza annuale e alla programmazione di interventi finalizzati a colmare – se presenti – le carenze nutrizionali dei bambini e di adeguate politiche economiche a sostegno delle famiglie, conclude l’esperta.
“In particolare – conclude Di Pietro – per contrastare questa situazione è necessario intervenire con strategie sociali adeguate finalizzate o alla riduzione della condizione di povertà delle famiglie o alla mitigazione degli effetti negativi del ridotto o basso reddito familiare sui bambini attraverso specifici programmi e interventi di integrazione delle carenze con l’ausilio dei pediatri di libera scelta e delle scuole. Questi interventi sono particolarmente urgenti considerando anche la difficile situazione economica che sta attraversando il Paese a causa della pandemia di Covid-19”.