Roma, 23 novembre 2018 – L’Ocse conferma: il numero di infermieri in Italia per mille abitanti è tra i più bassi dei 35 paesi considerati nel nuovo Rapporto Health at a Glance Europe 2018 appena diffuso, integrato con la banca dati OECD Health Statistics 2018: 5,6 che pone il nostro paese a sette posti dal peggiore (il Messico con 2,9) e ben lontano dalla media Ocse di 9,4.
Al contrario, l’Italia è nona su 35 paesi per il numero di medici ogni mille abitanti e così, la proporzione tra infermieri e medici che dovrebbe essere di tre infermieri ogni medico (nell’Ocse la media è 2,87), si ferma inesorabilmente a 1,4, peggiorando l’1,5 registrato l’anno precedente. E si parla solo di medici e infermieri attivi che svolgono cioè davvero la professione (sia in ospedale che fuori e nel privato).
“Già il rapporto tra infermieri dipendenti e pazienti che per rivelarsi ottimale nell’assistenza dovrebbe essere di uno a sei – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini degli infermieri, FNOPI, la maggiore in Italia con i suoi oltre 440mila iscritti – in Italia è in media di 1 a 11 con punte fino a 17-18 e il rapporto con i medici invece di essere uno a tre si ferma a 1 a 2,5 anche in questo caso con punte che sfiorano la parità (1:1) e un rapporto corretto nelle Regioni benchmark (ma non in tutte le aziende). Se guardiamo l’ultimo dato Ocse ci si rende conto che la maggiore carenza è proprio sul territorio che fa abbassare i valori medi, dove oggi la popolazione ha più bisogno per l’aumento della cronicità e della non autosufficienza legato all’età sempre più avanzata”.
L’Italia infatti ha exploit positivi come quello di essere tra i primi paesi – l’Ocse lo conferma – per aspettativa di vita: quarta dopo Giappone, Svizzera e Spagna con 83,30 anni medi (81 per i maschi e 85,60 per le femmine) e sempre in alta classifica (ma va un po’ peggio come posizione generale) per l’aspettativa di vita a 65 anni.
“La FNOPI ha valutato da tempo la necessità di almeno 53mila professionisti infermieri e il dato Ocse conferma la carenza che senza un nuovo modello di assistenza andrà a totale discapito dell’assistenza. Lo abbiamo detto chiaro: la cronicità e la demografia in genere con l’incremento dell’età e della vita media, aumenteranno i bisogni di assistenza e gli infermieri non solo possono, ma devono essere messi in grado di esprimere il massimo delle loro potenzialità sia in termini quantitativi che qualitativi. Un mancato intervento oggi non avrà possibilità di essere riparato domani. Lo scenario da ricercare è quello di una ‘trasformazione strutturale’ nell’organizzazione del lavoro con una crescita professionale degli infermieri che permetta di allargare il loro perimetro di azione alleggerendo il lavoro medico e consentendo ai medici stessi di focalizzarsi su aree di cura in cui fanno realmente la differenza”.
Anche lo stesso Ocse lo ha più volte affermato: “Gli italiani invecchiano e la domanda di assistenza sanitaria sale. La popolazione italiana è una delle più vecchie al mondo: quasi il 20% supera i 65 anni di età e nel 2050 circa l’8% degli italiani avrà più di 85 anni. Il sistema sanitario italiano, al momento, potrebbe non essere in grado di far fronte ai cambiamenti, in particolare per quanto riguarda il rinnovo e l’assunzione del personale infermieristico”, e nel nuovo Rapporto dichiara che “gli infermieri svolgono un ruolo fondamentale nel fornire assistenza sanitaria non solo negli ospedali e negli istituti di assistenza a lungo termine, ma sempre più anche nelle cure primarie e nelle strutture di assistenza domiciliare”.
Un allarme già rilanciato anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità a settembre nella sua Assemblea generale: “L’Italia deve affrontare un quadro di malattie croniche legate all’invecchiamento della popolazione che chiedono una risposta assistenziale complessa, proattiva, personalizzata”. E per farlo secondo L’Oms deve rispondere ad alcune sfide tra cui oltre a difendere meglio l’accesso universale all’assistenza, senza disuguaglianze, deve aumentare il numero di infermieri.
“Mancano professionisti quindi, mancano infermieri. A mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze. Ma attenzione – conclude Mangiacavalli – una scelta oggi condiziona il futuro per i prossimi 30 anni. Che sia quella giusta per il bene degli stessi cittadini”.