Forti differenze tra Regioni, al via il progetto per la “Carta dei diritti del bambino con disabilità in ospedale”
Roma, 8 giugno 2015 – Un bambino su 200 in Italia nasce con una malattia genetica grave che richiede cure complesse per tutta la vita. Un percorso assistenziale che spesso diventa un calvario, tra diritti negati e disorganizzazione. Dei problemi di questi 50 mila bambini e adolescenti con esigenze speciali si è parlato nel corso di una Tavola Rotonda dedicata alla disabilità, in occasione del 71° Congresso Italiano di Pediatria, da cui è emersa anche la proposta per una “Carta dei diritti del bambino con disabilità in ospedale”.
Sono migliaia le malattie genetiche rare, ognuna caratterizzata da sintomi e peculiarità diverse, con, però, delle caratteristiche in comune, spiega Luigi Memo, Presidente della Società Italiana Malattie Genetiche Pediatriche e Disabilità Congenite (SIMGePeD), che sono, oltre alla rarità, un difficile percorso diagnostico, la cronicità, la comorbidità, l’assenza spesso di un trattamento efficace e la necessità di assistenza specialistica e multidisciplinare. La Sanità Pubblica, come risposta istituzionale alle problematiche correlate a queste condizioni cliniche, ha emanato una serie di decreti allo scopo di ottimizzare il funzionamento delle reti regionali e salvaguardare il principio di equità dell’assistenza a tutti i cittadini.
“La realizzazione concreta di questo disegno, in una realtà fortemente colpita dalla crisi economica, ha generato disuguaglianze e sperpero di risorse – spiega Memo – Ogni Regione ha applicato autonomamente il Decreto Ministeriale sulle malattie rare, senza alcun coordinamento, né integrazione inter-regionale. Ogni Regione ha provveduto a stilare i propri Piani Diagnostico-Terapeutici per le varie malattie, con il risultato che lo stesso paziente viene curato in modo differente a seconda della regione di residenza e ha diritto di ricevere gratuitamente lo stesso farmaco che nella regione confinante viene erogato a carico del paziente”.
La SIMPGePeD e la Società Italiana di Pediatria, insieme alla Società Italiana di Neonatologia ed alla Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale, hanno elaborato un documento congiunto in cui si propone tra l’altro la costituzione di una Commissione Nazionale Malattie Rare con il compito di coordinare la produzione dei Piani Diagnostico-Terapeutici e garantire identici LEA per ogni cittadino italiano, razionalizzare il numero dei Centri di Riferimento in funzione delle reali competenze scientifico-assistenziali, della distribuzione territoriale e della numerosità delle persone affette.
Due aspetti fondamentali da sostenere, afferma ancora Memo, sono formazione e ricerca. “Dobbiamo far sì che i pediatri siano sempre più in grado di riconoscere precocemente queste patologie – sottolinea – e che venga promossa la ricerca multidisciplinare, con aggregazioni nazionali e sovranazionali. In questo contesto, consideriamo un risultato importante che il nuovo decreto sulle Scuole di Specializzazione mantenga la durata della Scuola di Specializzazione in Pediatria a cinque anni e che preveda, fra gli indirizzi del biennio finale, quello in Genetica Clinica”.
Accanto ai problemi più legati all’assistenza, ha affermato Giampiero Griffo, rappresentante italiano nel Board dell’European Disability Forum, ci sono quelli ‘culturali’ che investono il bambino disabile. “Le criticità maggiori sono l’accesso a una diagnosi precoce, che non sempre si riesce a fare, l’attesa fino ai 5 anni per la presa in carico territoriale, perché spesso le famiglie cercano la cura con pellegrinaggi della speranza lontano da casa, e le carenze del servizio sanitario. Quello, però, che mi sembra più problematico è l’educazione e l’informazione alle famiglie: il pediatra può giocare un ruolo positivo perché il bambino con disabilità mantenga le relazioni coi suoi pari, sviluppi competenze sociali e relazionali, partecipi alla vita della comunità”.
Bambini e adolescenti con disabilità, ha sottolineato Nicola Panocchia della cooperativa sociale “Spes contra Spem”, non hanno diritti speciali, hanno gli stessi diritti degli altri bambini ma hanno bisogno di strumenti speciali per poterne usufruire. “Si pensi alle disabilità sensoriali e intellettive: un bambino ipovedente o un bambino con autismo di due anni hanno esigenze differenti da un loro coetaneo senza disabilità. Gestire in un reparto un bambino di 5-6 anni con autismo può risultare molto difficile, se non si è preparati. L’attesa in Pronto Soccorso di un bambino con autismo può causare grave disagio per lui, per i familiari e per gli altri utenti del pronto soccorso. Proprio per questo motivo nell’ospedale di Pordenone è stato inaugurato al pronto soccorso un percorso per bambini e adulti con autismo”.
Per tutelare i bambini disabili in ospedale l’associazione, che ha già redatto la carta della persona con disabilità in ospedale, ne propone una ‘versione’ per i bambini in dieci articoli. “Vogliamo condividere questo lavoro con la Società Italiana di Pediatria, con le associazioni e con quanti possono dare contributi per condivisione – sottolinea Panocchia – Nel progetto della carta un ruolo fondamentale viene riservato ai genitori, non solo perché anche loro vanno sostenuti e assistiti, ma perché sono dei veri ‘esperti’ delle malattie dei propri figli, da coinvolgere in tutti gli aspetti dell’assistenza”.
fonte: ufficio stampa