In Italia 1 milione e 190mila pazienti oncologici sono in trattamento attivo. Intervista al Presidente AIOM Beretta

Roma, 15 maggio 2020 – La pandemia causata dal coronavirus in queste settimane ha costretto gli ospedali nel nostro Paese e nel resto del mondo a rivedere percorsi e routine consolidati nella pratica clinica quotidiana. Una rivoluzione che ha toccato profondamente anche l’oncologia.

Un milione e 190mila pazienti colpiti da tumore in Italia sono in trattamento attivo, cioè devono essere sottoposti con regolarità a chemioterapia, radioterapia, immunoterapia e alle terapie mirate. Per questi malati è fondamentale seguire le cure in ospedale in totale sicurezza, senza esporsi al rischio di contagio da coronavirus.

Ne parliamo con il prof. Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Responsabile Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo.

Prof. Giordano Beretta

Presidente Beretta, i pazienti oncologici hanno maggiori probabilità di contrarre il Covid-19? E come è possibile assicurare il proseguimento delle terapie salvavita per tutte le persone colpite da cancro?

I pazienti oncologici in trattamento, proprio perché caratterizzati da condizioni di immunosoppressione, sono a rischio di contrarre il virus. Sono particolarmente vulnerabili le persone sottoposte a chemioterapia, a radioterapia intensiva o che hanno subito trapianti di midollo osseo o di cellule staminali negli ultimi sei mesi.

Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, circa il 17% dei cittadini che muoiono a seguito di complicanze del Covid-19 sono pazienti oncologici. Anche le evidenze preliminari pubblicate dai colleghi cinesi confermano un rischio significativamente aumentato di contrarre l’infezione da coronavirus e, in particolare, di sviluppare complicanze spesso letali. Questi cittadini affrontano oggi una doppia sfida: resistere all’infezione da Covid-19 e combattere la patologia oncologica.

È difficile prevedere la durata della pandemia e le sue ricadute sul sistema sanitario nazionale. Ma va messo in atto ogni sforzo per garantire una ripresa regolare delle attività di cura, di follow up e di screening, a partire dall’attivazione di percorsi dedicati all’interno degli ospedali.

Lei è responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo, una delle città più colpite in Italia dal virus. In che modo avete affrontato l’emergenza?

A Bergamo, l’emergenza ha assunto le dimensioni di un vero e proprio tsunami. All’Humanitas Gavazzeni, le sale operatorie sono state convertite in terapie intensive. È stato creato un unico reparto Covid, che ha occupato tutti i piani della struttura.

Nel pronto soccorso, sono stati istituiti fino a 40 posti di osservazione breve, anche con pazienti in ventilazione assistita. Nel Day Hospital oncologico, per tutelare i malati, abbiamo attivato un doppio triage, con un contatto telefonico con il paziente il giorno prima della terapia programmata e un successivo controllo al momento dell’accesso in Day Hospital, in modo che entrassero solo persone che non presentavano sintomi correlati al coronavirus.

Gli oncologi sono stati impiegati nel grande reparto di ‘medicina interna-malattie infettive’ creato ad hoc, dove hanno lavorato tutti i clinici dell’ospedale, inclusi i chirurghi. Solo nel mese di marzo, nella struttura, sono stati osservati circa 1.000 casi di Covid-19, di cui oltre la metà sono stati ricoverati. Abbiamo creato nuovi posti letto, visto che l’ospedale, in condizioni normali, ne ospita 213.

Nell’Oncologia hanno continuato a lavorare due medici non impegnati nei reparti Covid. Molti controlli di follow up sono stati eseguiti via telefono, alleggerendo così i carichi di lavoro, mentre sono stati sempre garantiti gli accessi per prime visite e per i pazienti che, al contatto telefonico, necessitavano di visita clinica per problematiche non dilazionabili.

Anche a Bergamo, come nelle altre città della Penisola, l’attività chirurgica non ha potuto proseguire, con l’eccezione delle emergenze, e la maggioranza dei pazienti che necessitavano di interventi in tempi brevi è stata indirizzata ai centri Hub indicati dalla Regione Lombardia. Le criticità maggiori legate all’emergenza ora sono superate, per questo è necessario che tutti i pazienti tornino in condizioni di sicurezza negli ospedali.

Nella fase critica dell’emergenza, AIOM ha firmato un appello congiunto con l’Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clinica (AIRO) e con la Società Italiana di Ematologia (SIE). Di cosa si tratta?

Per incentivare il più possibile il proseguimento delle terapie salvavita per i pazienti oncologici e onco-ematologici e per rassicurare cittadini e caregiver, AIOM, AIRO e SIE si sono rivolte ai pazienti, alle Istituzioni nazionali e regionali e a tutti i cittadini. Nel documento abbiamo evidenziato che il cancro va curato in tutte le fasi di malattia, abbiamo ribadito che i percorsi oncologici e onco-ematologici sono attivi e protetti in tutti gli ospedali italiani, abbiamo incoraggiato i pazienti a rivolgersi con fiducia e serenità alle loro strutture di riferimento dove sono stati attivati protocolli specifici per la protezione dal contagio da Covid-19, e abbiamo invitato le Istituzioni nazionali e regionali a facilitare questi percorsi.

Da pochi giorni è iniziata la cosiddetta fase 2. Come deve essere riorganizzata l’Oncologia?

Nella fase 2, diventa prioritario continuare a garantire la cura ottimale di patologie come i tumori che, per gravità, non possono essere poste in secondo piano rispetto all’epidemia da Covid-19.

Finora, abbiamo adottato diversi strumenti: un triage dei pazienti prima dell’ingresso in ospedale per identificare quelli con febbre o sintomi respiratori, abbiamo applicato limitazioni delle visite ai degenti e della presenza di accompagnatori ai pazienti ambulatoriali, abbiamo rinviato alcune visite di controllo e riorganizzato con un supporto telematico altre attività. Nella fase 2, vogliamo mantenere il più possibile inalterato il percorso globale di diagnosi e cura di pazienti oncologici che non possono essere rinviate alla fine dell’epidemia, perché sarebbero compromesse le possibilità di sopravvivenza.

La riorganizzazione dell’assistenza oncologica deve andare in tre direzioni: introduzione sempre più estesa di programmi di telemedicina nei pazienti non più in trattamento e in corso di follow up, potenziamento della collaborazione con la medicina del territorio e consegna a domicilio delle terapie orali, seguendo anche questi pazienti in telemedicina. E dovranno ripartire le sperimentazioni cliniche.

La ricerca è fondamentale perché le terapie innovative, insieme ai programmi di screening, hanno permesso di rendere il cancro una malattia curabile. Nel nostro Paese, il 60% dei pazienti oncologici è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Non possiamo vanificare gli importanti risultati ottenuti.

Quale ruolo avranno le reti oncologiche regionali nella fase 2?

Sono fondamentali e vanno realizzate quanto prima su tutto il territorio, perché consentono di garantire i trattamenti migliori vicino al domicilio del paziente, evitando inutili spostamenti. Alcuni trattamenti devono continuare a essere centralizzati, ad esempio gli interventi chirurgici più complessi e, in parte, anche la radioterapia. In questi casi, il centro Hub rappresenta il punto di riferimento (anche per definire i dosaggi e le modalità del trattamento). La somministrazione della terapia farmacologica deve, invece, essere disponibile sul territorio, vicino al domicilio.

E per quanto riguarda gli screening?

I programmi di prevenzione secondaria devono riprendere quanto prima. In Italia, nel 2019, i nuovi casi di cancro sono stati 371mila. Rispetto al 2018, si è registrato un calo di circa 2.000 diagnosi, a cui ha contribuito l’efficacia dello screening del tumore del colon retto. Non possiamo interrompere i programmi di prevenzione secondaria, mirati alla diagnosi precoce non solo cancro del colon-retto, ma anche della mammella e della cervice uterina.

È necessario riprendere quanto prima anche questa attività. Sappiamo infatti che le possibilità di guarigione sono molto alte quando le neoplasie sono scoperte in fase precoce, ad esempio sono superiori al 90% nel carcinoma mammario. Inoltre, gli screening impattano in modo significativo sulla sostenibilità del sistema, perché consentono di risparmiare risorse che altrimenti sarebbero destinate alla cura di neoplasie in fase avanzata.

Vi è il rischio concreto che l’adesione dei cittadini ai programmi di screening diminuisca, per il timore di contrarre il virus all’interno degli ospedali. E, se questa situazione dovesse protrarsi a lungo, si potrebbe anche assistere fra qualche tempo ad un aumento della mortalità per alcuni tumori.

Anche la ricerca clinica deve riprendere. Qual è l’impegno di AIOM in questo senso?

Il patrocinio AIOM agli studi è una novità procedurale, perché il regolamento della società scientifica finora ha previsto di patrocinare solo eventi scientifici, come i congressi. Peraltro, l’eccezionalità della pandemia ha accelerato la decisione di estendere la possibilità di patrocinare anche studi clinici.

In particolare, AIOM ha concesso il patrocinio a una ricerca (Epidemiologia e decorso clinico dell’infezione COVID-19 nei pazienti oncologici in regione Lombardia: studio di coorte multicentrico), che prevede la raccolta e l’analisi delle caratteristiche dei malati di cancro colpiti da coronavirus, del trattamento anti-cancro in corso al momento del contagio e del decorso clinico dell’infezione, comprensivo delle terapie prescritte.

Questi dati contribuiranno a creare un database, che potrà essere utilizzato per descrivere le caratteristiche e le implicazioni del fenomeno Covid-19 in oncologia e, in futuro, per stendere indicazioni e raccomandazioni sulla gestione del paziente oncologico.

Ha inoltre ricevuto patrocinio da parte di AIOM un trial (Percezioni e opinioni dei malati di tumore durante l’epidemia di coronavirus nelle aree maggiormente interessate in Italia: studio serial cross-sectional), che intende esplorare le percezioni e opinioni dei malati di tumore che accedono alle nostre strutture per terapie mediche oncologiche durante l’epidemia di coronavirus nelle aree maggiormente interessate. Il questionario è stato costruito da un team multi-specialistico costituito da oncologi medici, infermieri, psicologi e biostatistici.

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