A cura del dott. Domenico Corsi, Coordinatore AIOM Lazio
Roma, 11 settembre 2020 – La vita di tutti noi è molto cambiata da quel giorno di febbraio e dal caso del paziente zero di Codogno. Come Oncologi, più di altri medici, siamo abituati a confrontarci con la morte e con la sofferenza, ma la gran parte di noi non aveva mai sperimentato alcune sensazioni e alcune realtà. La paura, l’ansia e l’incertezza hanno cominciato a contraddistinguere le nostre giornate, scandite dal bollettino delle 18.00 della Protezione Civile.
Paura per noi, per i nostri amici in prima linea, per i nostri colleghi malati, per i nostri cari che per molto tempo abbiamo visto solo grazie alle videochiamate. Ansia per i nostri Ospedali scombussolati, per i nostri Reparti talora smantellati e dedicati ad altre attività. Incertezza per le difficoltà organizzative nell’ambito delle singole strutture e spesso per le difficoltà di comunicazione con le dirigenze.
In tutto ciò nel Lazio, come nelle altre Regioni di Italia, l’attività in Oncologia non si è mai fermata e abbiamo cercato con dedizione e professionalità di garantire il meglio ai nostri malati. Gli interventi chirurgici sui pazienti oncologici con nuove diagnosi non hanno subito interruzioni, come pure le prime visite dei nuovi pazienti e i trattamenti antineoplastici in corso. Sono state sospese le visite di controllo per evitare a molte persone di accedere negli ospedali, luoghi tra i più a rischio per la trasmissione di infezioni; nella gran parte dei nostri centri però ci siamo organizzati con la televisita o contattando personalmente i pazienti prenotati per un controllo, facendoci trasmettere via fax o mail gli esami effettuati e facendo venire in ospedale coloro che riferivano sintomi sospetti o presentavano esami suggestivi di una ripresa della malattia neoplastica.
La maggior parte delle strutture ha adottato protocolli di screening telefonico per individuare casi sospetti tra i pazienti prenotati per una prestazione in Oncologia, in modo da evitare il loro accesso in Ospedale o all’interno dei reparti di degenza e ancora oggi, in maniera assai rigorosa, al di là dell’utilizzo dei tamponi, le Oncologie adottano metodiche di screening dell’infezione, controllando la temperatura dei medici in servizio e dei pazienti che accedono in ospedale e contattando quotidianamente i pazienti prenotati per il giorno successivo, per verificare se presentano sintomi riconducibili all’infezione o se abbiano avuto contatti con persone infette.
L’assenza di una Rete Oncologica strutturata si è avvertita soprattutto nei momenti iniziali della pandemia, quando assistevamo impotenti a quello che si stava verificando nelle Regioni del Nord ed eravamo, come del resto tutti, completamente impreparati.
Obiettivamente non so se l’esistenza della Rete avrebbe potuto cambiare la gestione di quei primi momenti, di certo il documento prodotto da AIOM e CIPOMO a inizio marzo è stato di utilità in quel frangente di grande confusione, quando scarseggiavano le mascherine e le singole Aziende erano latitanti sulle indicazioni all’utilizzo dei DPI e sull’obbligatorietà degli stessi, consentendoci di rapportarci con le Direzioni in maniera abbastanza uniforme per farci dotare dei presidi e offrendoci al contempo uno strumento per ridiscutere la definizione degli spazi nel rispetto del distanziamento e per riorganizzare il nostro lavoro sulla base delle caratteristiche dei pazienti.
Il lockdown ha messo a dura prova tutti e in particolar modo chi soffre. Una prima conseguenza nell’immediato è stata la difficoltà nella continuità assistenziale. Per le note vicende delle RSA e per la limitazione dell’accesso dei parenti alle strutture, la gran parte dei pazienti e dei loro familiari hanno scelto il proprio domicilio come setting per la “end of life”, con un limitato utilizzo delle strutture residenziali e con la conseguente richiesta, superiore rispetto all’offerta in quel momento proponibile, dell’assistenza domiciliare.
Inoltre, nonostante l’operatività dei Percorsi Oncologici sostenuta dalla Regione Lazio, molte persone hanno rinunciato a curarsi o hanno trovato altri impedimenti nel loro iter diagnostico terapeutico. Nei mesi di marzo e aprile il pronto Soccorso, non solo degli Ospedali Covid, ha registrato una sensibile riduzione di accessi, come se alcune malattie fossero improvvisamente sparite; le nostre degenze di Oncologia, ma anche di altre specialità come la Cardiologia, solitamente piene, presentavano diversi posti letto liberi perché il timore della contaminazione prevaleva rispetto alla presenza di sintomi sospetti.
La riduzione o in alcuni casi la sospensione delle attività di diagnostica ha fatto il resto, comportando, salvo rare eccezioni, una sensibile riduzione degli interventi chirurgici in elezione per neoplasia.
Già da qualche mese cominciamo a registrare gli effetti negativi della pandemia in Oncologia legati per lo più al ritardo diagnostico, non tanto determinato dalla sospensione dei programmi di screening, il cui effetto è ancora prematuro da valutare, quanto soprattutto dal fatto che molti pazienti, soprattutto i più anziani, per paura di contrarre il virus nei luoghi di cura, hanno rinviato visite ed esecuzioni di esami, tenendosi malattie sintomatiche per mesi.
Nonostante le difficoltà del momento, l’attività di AIOM Lazio è proseguita. È stato prodotto un questionario rivolto ai Direttori di UOC e di UOSD per mettere in comune le esperienze dei singoli centri nella gestione dell’emergenza, con particolare riferimento ai pazienti in DH.
In collaborazione con la sezione laziale di SIPO (Società Italiana di Psico-Oncologia) è stata diffusa la survey VIRARE, rivolta agli operatori della salute della Regione Lazio e mirata all’analisi del loro vissuto, che ha visto il coinvolgimento di 472 operatori, la maggior parte dei quali (389), impegnati in ambito oncologico.
I risultati di questa esperienza sono stati inviati per pubblicazione. È infine in corso l’elaborazione di un e-book nel quale abbiamo voluto raccogliere l’esperienza di medici, infermieri, pazienti, ricercatori, epidemiologi, dirigenti di aziende farmaceutiche durante la pandemia.
Siamo oramai all’inizio di settembre e nel Lazio abbiamo registrato circa 11.500 casi di infezione da Covid 19, molti dei quali nelle ultime settimane, e 880 decessi. Nella tristezza per chi ci ha lasciato, nelle difficoltà che abbiamo vissuto e nello stravolgimento della nostra quotidianità, lo tsunami che temevamo non ci ha investito perché abbiamo avuto più tempo rispetto ad altre Regioni di adattarci a quanto stava accadendo e per l’adeguamento alle direttive imposte dalle Autorità Nazionali e Regionali.
C’è sicuramente apprensione per i nuovi contagi e per la prossima apertura delle scuole, ma c’è al contempo maggiore consapevolezza nel fronteggiare l’emergenza, mantenendo alta la guardia, attenendosi rigorosamente alle regole e pretendendone il rispetto.
(fonte: AIOM News)