In Antartide per studiare la trasmissione del microbioma umano

Parte il progetto Antartic-ome: un team multidisciplinare di tre università italiane per studiare la trasmissione orizzontale del microbioma umano nella stazione antartica Mario Zucchelli. La ricerca combina microbiologia, genetica, antropologia e bioinformatica

Venezia, 24 ottobre 2024 – Parte il 1° novembre 2024, nella stazione antartica Mario Zucchelli, il progetto Antartic-ome (Human microbiome transmission in the extreme confined built environment of Antarctica) nato per studiare la trasmissione orizzontale del microbioma umano in ambiente estremo e controllato. Unico nel suo genere, lo studio combinerà approcci di tipo biotecnologico ed etnografico, per rispondere alla domanda di ricerca alla base del progetto volto a comprendere il ruolo delle interazioni sociale nell’acquisizione dei microrganismi associati all’uomo e nella loro conseguente influenza sulla salute umana.

Il progetto finanziato nel contesto del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e che avrà la durata di due anni, è il risultato di un’importante collaborazione che vede coinvolti il Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’Università di Trento, lead partner del progetto, il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia e il Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche dell’Università della Tuscia.

L’obiettivo

Come e quanto si trasmettono i microorganismi non-patogeni del microbioma? Ci sono alcuni microorganismi che si trasmettono più facilmente di altri? Queste le domande alla base del progetto Antartic-ome.

Il microbioma è la comunità ecologica dei microbi che vivono all’interno e intorno all’uomo. Diversi studi hanno già dimostrato l’importanza di queste microcomunità nella biologia umana, come attestano le numerose applicazioni biomediche, che vanno da approcci probiotici fino al trapianto fecale, che ne sono la conseguenza. Tuttavia, si sa ancora molto poco sulle dinamiche che regolano l’acquisizione, la trasmissione, la diffusione e il conseguente rimodellamento di queste comunità microbiche nel tempo.

Studi preliminari indicano come il ‘paesaggio’ microbico sia molto più sostanzioso di quanto si pensasse e possa mutare in risposta a dinamiche sociali, comportamentali e caratteristiche ambientali. Si tratterebbe di una trasmissione orizzontale di cui ancora non si conoscono le regole, ma che non si esclude possa giocare un ruolo nella definizione del benessere individuale o nell’emergenza di alcuni tipi di malattie.

“Le informazioni raccolte nel corso del progetto Antartic-ome – spiega Nicola Segata, coordinatore scientifico del progetto e responsabile del Laboratorio di Metagenomica Computazionale dell’Università di Trento dell’Università di Trento – potrebbero rappresentare un nuovo, importante contributo alla conoscenza del nesso fra interazione sociale e trasmissione di componenti del microbioma, aprendo la strada a nuove ipotesi su come il microbioma sia collegato ad alcune patologie non trasmissibili ed in ultima analisi a come possano essere potenzialmente affrontate”.

I risultati del progetto saranno un contributo importante per la comprensione delle dinamiche di trasmissione del microbioma e di come queste siano influenzate da fattori ambientali e stili di vita. Una conoscenza che sempre più si rivelerà determinante nella definizione e nel mantenimento della qualità della vita, della salute e del benessere. Inoltre, le conoscenze potrebbero avere importanti implicazioni anche in altri ambiti, come nelle missioni spaziali, specialmente se di lunga durata, durante le quali la situazione di alterato paesaggio microbiomico inter-individuo è di importanza cruciale

“Dal punto di vista metodologico – aggiunge Federica Pinto, project manager sempre del Laboratorio di Metagenomica Computazionale – l’integrazione di discipline come microbiologia, genetica batterica, antropologia e bioinformatica permette di cogliere la complessità dei meccanismi che stanno alla base della nostra salute”.

Carattere innovativo del progetto

La ricerca degli elementi necessari alla formulazione delle risposte sarà affidata a Elena Bougleux, membro dell’unità di ricerca dell’Università Ca’ Foscari Venezia e professoressa associata in antropologia culturale presso l’Università degli studi di Bergamo. Per l’intera durata della stagione di ricerca antartica, da novembre 2024 a febbraio 2025, Elena Bougleux rimarrà alla stazione Zucchelli, dove si occuperà della raccolta di campioni di microbioma umano in ambiente estremo e isolato.

I campioni raccolti saranno destinati al sequenziamento e analisi metagenomica, svolta dal Laboratorio di Metagenomica Computazionale dell’Università di Trento, in collaborazione con l’Università della Tuscia. Questo tipo di campionamento verrà triangolato con l’analisi di tipo antropologico svolta dai ricercatori dell’Università Ca Foscari Venezia e basata sui dati etnografici raccolti da Bougleux.

Oltre alla raccolta e analisi di dati biologici, infatti, i ricercatori si concentreranno sull’analisi delle relazioni sociali tra i ricercatori in Antartide, studiando il loro stile di vita, le loro interazioni e la loro cultura di gruppo per cercare di capire se e come queste dinamiche possano influire sulla trasmissione e lo scambio di microbioma. Proprio lo sforzo di conciliare il linguaggio computazionale dei dati genomici, con l’approccio analogico e discorsivo delle osservazioni etnografiche, rappresenta la grande sfida metodologica del progetto.

L’approccio multidisciplinare utilizzato per il progetto Antartic-ome rappresenta una sperimentazione unica nel suo genere. Una sperimentazione che parte dalla consapevolezza che le variabili sociali giocano un ruolo paritario rispetto a quelle ambientali e biologiche, nel descrivere la complessità che guida le dinamiche di trasmissibilità del microbioma umano. “Sarà quindi importante – spiega Bougleux – integrare la metagenomica con un approccio antropologico, per tracciare e modellare la trasmissione del microbioma attraverso diverse reti sociali e di interazione”.

“Si tratta di un esperimento innovativo – spiega Roberta Raffaetà, che coordinerà la parte antropologica del progetto – la stazione di ricerca riproduce in piccolo una qualsiasi comunità sociale e quindi è un ambiente controllato in cui poter osservare come dati di tipo qualitativo possano interagire con i dati quantitativi per fornire una risposta integrata; si tratta di uno dei primi esperimenti di interazione disciplinare di questa portata svolta in un ambiente così estremo”.

La metodologia

L’Antartide è un ambiente estremo, confinato e isolato, dove le variabili ambientali e le dinamiche sociali sono limitate nello spazio e nel tempo e, di conseguenza, facilmente controllabili. Risulta quindi il luogo ideale dove esplorare la trasmissione del microbioma umano e determinare il ruolo dell’ambiente, geografico e sociale, nel rimodellarne la composizione.

Per cinque mesi la ricercatrice Elena Bougleaux seguirà i ricercatori nella stazione, raccogliendo campioni del microbioma intestinale, orale e della pelle, prima della partenza, nel corso della campagna e dopo la sua conclusione, nonché monitorando le loro abitudini alimentari e lo stile di vita del gruppo. L’obiettivo è analizzare come le comunità microbiche si modificano nel tempo e come sono influenzate dalla condivisione degli spazi e delle abitudini.

“La stazione ospita 90 persone circa, 30 tecnici fissi, che rimarranno alla stazione da ottobre a febbraio – spiega Elena Bougleaux – e poi alcune ondate di ricercatori, ognuna di circa 30 persone che si fermeranno per uno o due mesi. La pianificazione del campionamento risulterà quindi particolarmente complessa da strutturare in funzione degli orari di lavoro e delle permanenze e delle sovrapposizioni di tutti i partecipanti”.

Il team di ricerca

Il team di ricerca è composto da esperte ed esperti di microbiologia, genetica batterica, antropologia e bioinformatica. Il coordinamento scientifico del progetto è dell’Università di Trento con Nicola Segata e Federica Pinto. Partecipano l’Università Ca Foscari Venezia con Roberta Raffaetà, l’Università della Tuscia con Claudia Coleine, Federico Biagioli, Caterina Ripa e Laura Selbmann, per la raccolta dati, l’Università di Bergamo con Elena Bougleux.

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