Parlare di follia e di teatro desta un senso di libertà e qualche capogiro, perché delle due esperienze si può dire tutto e il contrario di tutto. Di una cosa siamo certi: gli argomenti si versano gli uni negli altri al punto che i loro piani si giustappongono.
Lo sapevano bene Dionisio e Proteo, numi tutelari delle identità multiple, delle metamorfosi e dell’alterità dell’attore e del folle.
Lo sapeva bene Eschilo che, con il personaggio di Oreste, espresse la follia legata alla colpa; lo sapeva Sofocle che condusse Aiace alla morte, soluzione definitiva per cancellare l’onta della follia; lo sapeva infine Euripide che mosse Medea verso la pazzia, dovuta allo straziante conflitto dell’animo umano.
Eppure il teatro non è solo interrogazione o rappresentazione, esso è il luogo elettivo della cura e della terapia, come vogliono gli studi teatrali e le ricerche psicologiche.
Alexandre Dumas, maestro del romanzo storico, a metà dell’ottocento, durante la sua permanenza a Napoli, assiste a una rappresentazione teatrale realizzata dai pazienti del manicomio di Aversa. Ne rimane profondamente turbato e affascinato.
Da quell’esperienza di teatroterapia si sono dipanate diverse interpretazioni, molteplici approcci, che hanno inteso organizzare l’autentica tragicità della messinscena.
Benché il binomio teatro-disagio sia stato analizzato con metodi diversi, il suo studio ha ampliato di molto i confini dell’arte teatrale e della speculazione psicologica.
Negli anni sessanta si è lavorato in modo sistematico, con soggetti disagiati, sia nelle associazioni, sia nei reparti ospedalieri, servendosi di laboratori teatrali e di workshop a indirizzo terapeutico.
Un nome fra tutti, Gary Brackett, regista e attore del Living Theatre di New York, che, affascinato dalla follia, ha introdotto tecniche come la recitazione non-fictional, (interpretazione non convenzionale), e l’espressionismo di Antonin Artaud, grande e folle autore.
Riferimento per molti sono apparsi i lavori dello psichiatra R.D. Laing, maestro dell’antipsichiatria, che nel libro Nodi ha elaborato il concetto di alienazione, attraverso la rappresentazione di “nodi”, di legami d’amore, di dipendenze e d’inquietudini.
Consapevole di quanto poco si conosca della follia dei “folli” e ancor meno di quella dei “sani”, la ricerca negli anni si è spinta verso un piano che sapesse coniugare esperienze in bilico fra il caos e l’ordine, fra l’ironia e il dolore.
Questa è la strada percorsa dai teatri della diversità, con laboratori di base e di ricerca. Si pensi al servizio psichiatrico di Forlì, al Living Follia di Triggiano, all’Officinateatro di Caserta, ai centri di salute mentale di Roma, di Trieste e di Modena; si considerino alcuni lavori di Ascanio Celestini e di Eugenio Barba.
In Campania, sull’orma medesima, è nata la rassegna, Tutti pazzi per il teatro, voluta dal Servizio di Salute Mentale di Puglianello, che propone un laboratorio teatrale permanente, una rassegna dei servizi psichiatrici campani e workshop formativi per operatori e pazienti.
Un programma deciso che non vuole occultare la diversità della follia ma rileggerla in modo ironico, provocatorio e consapevole.
Il sottotitolo di tale rassegna recita, Da vicino nessuno è normale, che fa da contrappunto a quello del Living Follia di Triggiano, secondo il quale, Il terribile è già accaduto.