a cura del prof. Leandro Provinciali, Presidente SIN e Direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona
Milano, 14 marzo 2016
I meccanismi del cervello che sottendono alla percezione del tempo
Il nostro cervello percepisce il tempo in relazione al succedersi delle informazioni che gli giungono e al loro progressivo cambiamento. I modelli di riconoscimento di una sequenza temporale (so cosa succederà dopo) consentono di prevedere l’evoluzione di un fenomeno e l’intervallo che intercorre fra la prima manifestazione e le successive (se cade un piatto da un tavolo mi aspetto di vederlo frantumato a terra pochi secondi dopo, ecc.).
Oltre a ciò, è documentato che una parte del nostro cervello, il lobo frontale, è in grado di riconoscere la “sequenza temporale degli eventi”, cioè la capacità di identificare quali condizioni sono giustificate da eventi che debbono verificarsi prima, per poter rendere possibile l’evento successivo. Oltre a tale meccanismo, basato su una “sequenza logica”, può esserne utilizzato un secondo correlato alla cronologia degli eventi, cioè quanto avviene in certi momenti della giornata, della settimana, del mese o dell’anno interessato.
È altresì evidente che la nostra percezione del tempo è correlata ai riferimenti temporali appresi e che questi non sono validi in tenera età o in caso di demenza. Infatti, fra i segni più significativi della Malattia di Alzheimer c’è la perdita della memoria episodica, cioè della capacità di ricordare eventi legati ad un preciso riferimento temporale. Di fronte a tale evidenza possono essere attivati i trattamenti finalizzati a rallentare l’evoluzione o contenere le manifestazioni della demenza abiotrofica.
Il meccanismo neuronale che consente al cervello di tenere il tempo, il prima e il dopo un’azione
Alcune strutture cerebrali, soprattutto a livello del lobo frontale, sono deputate a individuare le attività che si realizzano in previsione o in conseguenza di un’azione. Tale meccanismo, assimilabile alla previsione di quanto deve accadere prima di un evento significativo, è attivo su molti versanti del funzionamento del cervello, da quello motorio a quello cognitivo.
In ambito motorio, ad esempio, decidendo di compiere un gesto significativo, ad esempio legato allo sport o all’utilizzo di un oggetto, vengono attuati meccanismi di preparazione all’esecuzione di quel gesto e, successivamente, azioni di “ripristino” della condizione di base. Anche nello svolgimento di un compito cognitivo, legato all’apprendimento di una serie di informazioni, il cervello attiva prima i ricordi che servono per “inquadrare” le informazioni a apprendere e, dopo aver espletato le attività necessarie per fissare la sequenza da memorizzare, attiva un meccanismo di “rinforzo” dell’apprendimento, ripetendo anche inconsciamente la sequenza fino a farla divenire abituale.
Un’interferenza che si realizzi prima o dopo la fase di fissazione dell’informazione compromette sensibilmente la riuscita del processo di apprendimento. In caso di specifiche lesioni cerebrali, viene alterata la procedura che garantisce la realizzazione del processo: ad esempio, il soggetto non è in grado di realizzare sequenze di azioni finalizzate a raggiungere uno scopo (per vestirsi, ad esempio, bisogna prima indossare una manica e poi l’altra e quindi allacciare l’abito…). Tali difficoltà possono esprimersi nell’ambito dei compiti motori, di tipo gestuale o di utilizzo di particolari strumenti. In questi casi, la sequenza delle azioni semplici che configurano un gesto complesso, viene disgregata e non riesce a raggiungere le finalità proposte.
Le patologie legate alla errata percezione del tempo come disorientamento temporale
In alcune patologie, come nelle demenze, il paziente non riesce ad identificare il momento nel quale sta vivendo in relazione ai suoi riferimenti temporali: non rievoca il giorno, il mese o l’anno, o l’ora del giorno. Tale situazione può realizzarsi anche in seguito ad eventi traumatici che interessano alcune strutture quali il lobo temporale, per cui il soggetto perde il riferimento temporale delle sue esperienze (non sa cosa è successo prima dell’evento, ecc.). In alcune condizioni, il soggetto è cosciente di non riuscire a identificare il riferimento temporale di alcuni eventi; alla luce di tale consapevolezza può realizzare dei meccanismi di “sostituzione” degli eventi reali con altri immaginari. Tale condizione è frequente, ad esempio, in caso di encefalopatie tossiche quali quella etilica.
Quali patologie comportano l’errata percezione del tempo
Oltre a malattie degenerative o eventi traumatici, anche situazioni acute (intossicazioni, anestesie) possono compromettere la rievocazione di informazioni per un periodo antecedente o successivo all’evento (amnesia retrograda o anterograda). Il meccanismo attraverso il quale si realizza la compromissione della percezione del tempo è diversificata. Nelle principali forme di demenza, ad esempio, il soggetto non riesce a rievocare episodi della propria giornata, soprattutto se non legati ad un particolare contenuto emotivo. Nelle forme più avanzate, non riesce a legare le proprie abitudini giornaliere (come consumare un pasto o uscire) all’orario abituale di esecuzione.
Per questo, nei centri residenziali dedicati a soggetti dementi, è frequente l’utilizzo di “richiami” che sottolineano il momento del giorno o della settimana che si sta vivendo (orologi, calendari, sequenze abituali dell’attività giornaliera, ecc.).
Nell’ambito delle condizioni “episodiche” cioè caratterizzate da brevi periodi di alterazione della percezione del tempo, possono essere riconosciute tutte le manifestazioni che comportano alterazione dell’“attenzione sostenuta”, cioè della capacità di legare un’esperienza al riferimento temporale abituale. La condizione più comune è quella riferita a eventi traumatici del cranio con alterazione del contatto con l’ambiente, nei quali si identifica una “lacuna mnesica” caratterizzata dall’incapacità di realizzare quanto accade in un lasso di tempo. Le condizioni alla base di tale incapacità di rendersi conto del tempo reale sono molteplici e di diversa natura: anche stimoli emotivi particolarmente intensi possono indurre il soggetto a “non accorgersi” del tempo che è passato. In alcune circostante, la difficoltà di percepire il tempo intercorso nello svolgimento di un’attività, può rappresentare un elemento di valorizzazione della stessa attività, la quale appare in grado di catturare l’attenzione del soggetto fino a “distrarlo” dai suoi riferimenti temporali.
Cosa comporta l’errata percezione del tempo
L’errata percezione del tempo compromette i riferimenti abituali della nostra vita e l’organizzazione della nostra attività. Pazienti dementi non si rendono conto di quando è ora di mangiare o di coricarsi e, in tal modo, vedono “disgregata la propria giornata”. È indubbio, però, che qualsiasi condizione, anche occasionale, comprometta i riferimenti temporali della nostra attività e limiti la possibilità di memorizzare le informazioni relative a tale attività.
Sulla base di tale presupposto, eventuali esperienze condotte senza che si identifichino i connotati temporali, può essere rievocata come esperienza specifica ma non inquadrata correttamente nel proprio vissuto e quindi correlata ad altri eventi significativi. In altri termini, il soggetto può essere consapevole di aver vissuto un fatto significativo, ma non riconoscere in quale contesto esso si è realizzato. Anche tale condizione è correlata ai fattori che compromettono l’attenzione su base tossica (ad es. ebbrezza alcolica), iatrogena (utilizzo di farmaci sedativi o ipnotici) o per altri eventi clinici (ad es. crisi epilettiche o traumi cranici).
Il disorientamento temporale può costituire fattore predittivo di patologie neurologiche, e quali?
Il disorientamento temporale rappresenta abitualmente una condizione delle fasi avanzate delle malattie degenerative. In particolare una condizione di demenza, di varia natura, si associa a compromissione della collocazione temporale degli eventi. In realtà, nelle diverse forme di demenza, tale difficoltà si esprime diversamente in ragione delle diverse strutture cerebrali interessate dalla malattia. In alcuni casi, come nei danni vascolari o traumatici del cervello, il soggetto può perdere le informazioni correlate a un certo periodo, conservando la struttura generale dell’organizzazione temporale degli eventi. In altre condizioni, di tipo degenerativo, la perdita di episodi non significativi della propria esperienza può rappresentare una fase iniziale del “mild cognitive impairment”, cioè della condizione che può preludere ad una vera demenza.
Non bisogna però dimenticare che, con il crescere degli anni, può modificarsi la “strategia cognitiva” del soggetto, passando dalla memorizzazione di singoli eventi e di particolari dettagli alla tendenza a rievocare esperienze nella loro globalità, senza cura di alcuni elementi. In tale condizioni, la rievocazione delle esperienze può essere guidata dalla risonanza emotiva delle stesse.
Come già espresso, anche condizioni transitorie possono essere responsabili del disorientamento temporale, come avviene per fatti traumatici, tossici o per l’uso di farmaci sedativi ed ha espressione transitoria. Una condizione particolare è rappresentata dall’“amnesia globale transitoria” nella quale il soggetto si comporta correttamente ma perde i riferimenti temporali per minuti o poche ore, senza ricordare le motivazioni della sua attività. Tale condizione, a prognosi sicuramente favorevole, può essere più frequente in alcuni soggetti, quali gli emicranici, e non rappresenta un fattore predittivo per un futuro deterioramento cognitivo.
fonte: ufficio stampa