Bologna, 26 aprile 2018 – La nostra capacità di guidare una macchina, pilotare un aereo o semplicemente camminare per strada è stata completamente trasformata dall’avvento della tecnologia GPS. Ma come ci orientavamo prima? Gli studi di May-Britt Moser, che insieme a John O’Keefe ed Edvard Moser è stata insignita nel 2014 del Premio Nobel per la Medicina, si sono concentrati a partire dagli anni 2000 sul sistema interno di orientamento dei mammiferi, rivelando il sofisticatissimo meccanismo del cervello che integra i molteplici segnali connessi alla nostra posizione nello spazio e al trascorrere del tempo.
Calcoli che normalmente il cervello esegue senza il minimo sforzo, e la cui complessità emerge soltanto quando disturbi o patologie neurodegenerative compromettono il nostro sistema di orientamento.
L’abilità di conoscere la posizione in cui si è e la direzione in cui occorre andare è una funzione fondamentale per la sopravvivenza: senza di essa gli animali non sarebbero in grado di procacciarsi cibo o di riprodursi. Lo studio dello spazio mentale cerebrale inizia negli anni Dieci del secolo scorso, con gli esperimenti di Edward C. Tolman, professore di psicologia all’Università di California, Berkeley, il primo ad intuire che gli animali non si orientavano sulla base di stimoli esterni provenienti dallo spazio, ma formando una mappa mentale che rispecchiava lo spazio esterno, utile per ritrovare la strada e registrare informazioni sugli eventi sperimentati in specifici punti.
L’equipe di May-Britt Moser, John O’Keefe ed Edvard Moser ha svelato i meccanismi di funzionamento di tale sistema che funziona attraverso la formazione di mappe neuronali dell’ambiente, prodotte da attività elettriche delle cellule a livello della corteccia cerebrale, che riflettono la composizione dell’ambiente circostante e il collocamento nello spazio.
Il sistema di navigazione è composto da diversi tipi di cellule specializzate che continuamente calcolano la posizione dell’animale, la distanza che ha percorso, la direzione nella quale si sta muovendo e la velocità. Insieme queste cellule, chiamate “cellule a griglia”, formano una mappa dinamica dello spazio che non soltanto opera nel presente ma viene immagazzinata e conservata nella memoria per il futuro.
Durante la sua lectio magistralis su “Neuroni a griglia, spazio e memoria” (giovedì 3 maggio ore 19.00, Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo) la scienziata si soffermerà in particolare sull’ippocampo, struttura cerebrale necessaria alla codifica delle memorie su base quotidiana, e sulla qualità delle informazioni che generano le memorie stesse: un meccanismo reso possibile proprio dall’esistenza delle “cellule a griglia”, che segnalano la posizione del soggetto, la direzione, la disposizione dello spazio circostante e la distanza temporale tra diversi accadimenti.