L’argomento del distacco emotivo di alcuni medici nei riguardi della malattia attraversa il tema della sofferenza passando per quello dell’Ordine Medico e dei suoi Statuti Scientifici.
Fornirò alcune ipotesi che possano spiegare il sopravvivere di tale sentimento.
In culture ed epoche precedenti la malattia era inserita in un ordine simbolico nel quale lo scambio sociale si arricchiva di senso e la guarigione si risolveva in uno spazio in cui il gruppo ricopriva un ruolo decisivo.
Oggi lo sguardo medico spesso non incontra il malato, bensì la sua malattia, concentrandosi non tanto sulla sua biografia quanto sulla sua patologia.
Il paziente, in simili condizioni, sarà ridotto a una congerie oggettiva di segni e di sintomi, divenendo, suo malgrado, semplice informatore dello stato del proprio corpo, che può aiutare a migliorare a patto che si identifichi con il Discorso Medico.
La malattia, di cui il paziente è portatore, incardinandosi nelle categorie dello Statuto Scientifico, rischia di allontanarsi da ciò che realmente prova l’interessato e produce paradossalmente un doppio sentire, si assisterà così ad un racconto sulla “malattia del malato” e ad un altro sulla “malattia del medico”, e le narrazioni di sicuro non coincideranno.
Sebbene il medico sia impegnato ad operare a favore del malato, tuttavia deve mantenere la sua relazione con l’Istituzione Medica e pochi possono pensare di uscire indenni da tale relazione, siano essi medici o ammalati.
La relazione in esame lascia soggettivamente divisi, perché ognuno viene sedotto dai risultati terapeutici, poi dinanzi ad essi però si ferma nel silenzio, “opporre ragione alla ragion medica” è operazione difficile.
A questo punto nascerà di nuovo un sentire doppio: un discorso del paziente ed un discorso del medico.
Può accadere che il discorso del medico, trascurando il corpo del malato ed interessandosi soprattutto dell’organismo, induca il paziente a percepirsi come un dato esteriore, un fatto accidentale, dove i sintomi dello squilibrio si sono trasformati in segni di una malattia non coincidenti con gli altri pezzi della sua vita ma solo con i criteri di un universo patologico.
L’attenzione in questo caso sarà rivolta non alla persona ammalata ma alla sua alterazione, che diverrà riproducibile per la scienza.
Se lo sguardo medesimo invece supererà la rigidità clinica, la malattia sarà guardata nella sua polisemantica, si scorgerà qualcosa che la compensa, che l’arricchisce, emergerà il dolore del malato, il suo corpo di sofferenza che interroga, che chiede di essere placato al di là dell’aspetto di organismo biologico.
Ciò che talvolta è indicato come distacco emotivo potrebbe risolversi in una diversità di ottiche, in un contrasto di sguardi.