Le adipochine sono ormoni o molecole dell’infiammazione, prodotte dal tessuto adiposo. Molte di queste potrebbero diventare nuovi bersagli terapeutici. C’è infatti una miniera di possibilità terapeutiche, nascosta nel grasso. I loro segreti e come sfruttarle per combattere e prevenire una serie di malattie cardio-metaboliche, dal diabete di tipo 2, alle malattie cardiovascolari, al fegato ‘grasso’, sono riassunti in una review pubblicata su Nature Immunology da esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con l’Università di Innsbruck
Roma, 20 novembre 2024 – Il tessuto adiposo, lungi dall’essere un semplice magazzino di energia, è stato sdoganato da anni anche come organo endocrino, in quanto produttore di una serie di sostanze (come adiponectina, leptina) implicate nel controllo della fame e dell’appetito e quindi del peso corporeo.
“Ma il grasso è molto più di questo – afferma il prof. Antonio Gasbarrini, Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ordinario di Medicina Interna e direttore della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – È infatti un organo attivo anche sul versante immunitario, per la produzione di una serie di citochine come il Tumor Necrosis Factor (TNF) e l’IL-1 beta”.
L’insieme di sostanze ad azione ormonale e citochine viene indicato col nome di adipochine. “I mediatori prodotti dal tessuto adiposo – prosegue il prof. Gasbarrini – sono in grado di influenzare le risposte immunitarie alla base della cosiddetta ‘infiammazione metabolica’ e la metainfiammazione, che caratterizzano una serie di malattie metaboliche ed alla base di condizioni quali la resistenza insulinica, le malattie epatiche associate a disfunzione metabolica (il ‘fegato grasso’, steatosi epatica associata a disfunzione metabolica) e di una serie di complicanze cardiovascolari”.
In un articolo pubblicato su Nature Immunology dal prof. Antonio Gasbarrini e dal dott. Gianluca Ianiro, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Innsbruck (Herbert Tilg e Timon E. Adolph), gli autori mettono in evidenza come le adipochine partecipino a questa ‘conversazione’ immunitaria che si verifica tra una serie organi metabolicamente attivi e il loro ruolo fondamentale nell’obesità; ma anche di come queste conoscenze possano essere sfruttate per potenziali interventi terapeutici.
“I due principali attori di questo sistema, sul versante ormonale – ricorda il dott. Gianluca Ianiro docente di gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, gastroenterologo di Fondazione Policlinico Gemelli – sono l’adiponectina e la leptina; la prima ha effetti favorevoli, poiché migliora la sensibilità all’insulina e contrasta l’infiammazione metabolica. Più alte sono le concentrazioni di adiponectina nel sangue circolante, più si riduce l’incidenza di obesità e di patologie ad essa correlate, come il diabete di tipo 2 e gli eventi cardiovascolari; per questo, rappresenta un potenziale target terapeutico (e alcuni farmaci già in uso, come SGLT2 inibitori, analoghi recettoriali di GLP-1, agonisti di PPARgamma, ne aumentano i livelli; ma sono allo studio anche farmaci ad hoc, come gli agonisti Adipor)”.
“La leptina è al contrario la ‘cattiva’ della situazione; è un prodotto del gene ob (come ‘obesità’), promuove l’assunzione di cibo, l’adipogenesi e l’infiammazione, peggiorando così le malattie metaboliche e infiammatorie – prosegue Ianiro – Rilasciata dal tessuto adiposo, arriva al cervello dove controlla l’assunzione di cibo e la sazietà, l’appetito, il peso e il bilancio energetico. È implicata in una serie di malattie autoimmuni e infiammatorie. La presenza di elevate concentrazioni di leptina nel sangue è predittiva della comparsa di diabete di tipo 2 e rappresenta un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e non solo. I gli analoghi recettoriali dei GLP-1, usati per trattare obesità e diabete, riducono le concentrazioni di leptina e questo può contribuire ai loro effetti”.
Molti altri i mediatori prodotti dal tessuto adiposo hanno un importante ruolo nell’infiammazione. La NAMPT (nicotinamide fosforibosil-transferasi) ad esempio è un’adipochina ad attività pro-infiammatoria, mentre l’apelina e l’FGF21, hanno proprietà anti-infiammatorie (il trattamento con apelina sintetica, APL-13, riduce la gravità della colite cronica e i danni neurologici dopo ischemia cerebrale nel topo).
L’apelina ha anche effetti benefici sulle malattie metaboliche: riduce la disfunzione metabolica, la resistenza insulina e il peso corporeo nell’obesità. L’equilibrio tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ dell’infiammazione può influenzare la formazione dei tumori, la resistenza insulinica, le malattie cardiovascolari aterosclerotiche, l’infiammazione e la fibrosi del fegato. E tutto parte dal tessuto adiposo.
“La sostanza a maggior potenziale terapeutico – ricorda il prof. Gasbarrini – è al momento l’FGF21, un’adipochina prodotta dal tessuto adiposo e dal fegato che migliora il metabolismo del glucosio, riduce i trigliceridi e aumenta la produzione di adiponectina; ha inoltre effetti anti-infiammatori e anti-fibrotici. Tutte azioni che ne fanno un target terapeutico ideale contro le malattie metaboliche. Al momento l’efruxifermina, una proteina di fusione Fc-FGF21 a lunga durata d’azione è al vaglio di studi clinici sulla steatoepatite metabolica”.
In conclusione, la carenza di adipochine protettrici o l’eccesso di adipochine patologiche possono contribuire all’infiammazione metabolica, alla metainfiammazione, allo sviluppo di disfunzione metabolica e quindi alla comparsa di malattie cardio-metaboliche.
Nonostante un indubbio avanzamento delle conoscenze, però, restano ancora molte zone d’ombra su come un tessuto adiposo disfunzionale, tipico dell’obesità, possa contribuire all’infiammazione metabolica (misurabile’ attraverso la proteina C reattiva ad alta sensibilità, hsPCR) perché sono tanti gli attori in scena. A questa situazione già complessa, contribuiscono inoltre anche istanze di medicina di genere, che rappresentano un’ulteriore importante variabile in grado di influenzare la sintesi delle adipochine e l’infiammazione metabolica.
“Un modello a ‘più colpi paralleli’ – spiega il dott. Ianiro – è quello che meglio potrebbe spiegare l’origine dell’infiammazione metabolica; da una parte la disbiosi del tratto gastrointestinale, comune nell’obesità e caratterizzata da un’espansione dei ‘patobionti’ ad azione pro-infiammatoria. Dall’altra la dieta, in grado non solo di modulare il microbiota intestinale, ma anche il ‘tono’ infiammatorio. Disbiosi intestinale e dieta pro-infiammatoria possono dunque contribuire non solo all’infiammazione sistemica ma anche a peggiorare quella del tessuto adiposo”.
“La perdita di peso, ottenuta attraverso la chirurgia bariatrica o con i farmaci anti-obesità (come gli analoghi recettoriali del GLP-1 o doppi agonisti GLP-1 e GIP) – conclude il prof. Gasbarrini – è il modo più efficace per ‘spegnere’ l’infiammazione sistemica e migliorare gli esiti a lungo termine nell’obesità. Nel frattempo, sono in rampa di lancio anche gli studi clinici sugli agonisti dell’adiponectina. Ed è importante continuare ad approfondire le ricerche sul ruolo delle diverse adipochine nelle varie patologie cardio-metaboliche, anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, visto che la pandemia di obesità è destinata ad aggravarsi nella prossima decade”.