Il girone infernale. All’interno la testimonianza di una tossicodipendente in carcere

Il sistema penitenziario è al collasso. E quanto più si supera la soglia, tanti più suicidi vengono portati a termine

donna-solaQuotidianamente le cronache riportano arresti per droga. Voglio subito precisare che non è pensabile trattare dentro una casa circondariale ragazzi tossicodipendenti (rappresentano il 33% dei detenuti e, insieme al 35% di extracomunitari, è la fascia maggiormente rappresentata).

Si tratta di giovani, vittime prima di se stessi e poi delle istituzioni. Prima della Legge 180, negli ospedali psichiatrici erano ristretti moltissimi alcolisti e tossicodipendenti. Per loro la reclusione in O.P. era una salvezza in quanto impediva di trasformarsi in barboni, vagabondi, di svolgere una esistenza degradata di sporcizia, di abbandono e di violenza. Lo Stato si occupava di loro per salvaguardare l’ordine e il pubblico decoro. Ovviamente, anche se questi pazienti erano sottoposti a terapie, non si trattava di una risposta adeguata in quanto il manicomio era una condanna a vita. Oggi la reclusione di giovani tossici mi sembra invece una “condanna a morte senza processo” (il 44 % è in attesa di giudizio).

Sovraffollamento delle carceri, con un numero di detenuti sproporzionato rispetto a quello dei poliziotti penitenziari, tantissimi i suicidi in carcere. Il sistema penitenziario è al collasso. E quanto più si supera la soglia, tanti più suicidi vengono portati a termine.
Ma le morti non interessano solo i detenuti. Anche i poliziotti, per l’over-stress legato alle difficili condizioni lavorative, si suicidano. A Napoli, nel carcere di Poggioreale, nella sezione “transito” si arriva sino a 16 ristretti per cella con letti a castello a tre piani.

Gli agenti suicidi in genere si uccidono con la pistola di ordinanza. Altri invece si impiccano come hanno visto fare all’interno della casa circondariale. Addirittura a Sulmona la direttrice Miserere si è suicidata, mentre in Calabria lo ha fatto il coordinatore regionale degli istituti penitenziari (dott. Quattrone).
Dopo tutte questi morti, anche per evitare una condanna della commissione Europea, l’Italia ha deciso di consentire gli arresti domiciliari ai ristretti che devono scontare solo un anno di reclusione. Si tratta di poche migliaia di detenuti.

Non si può continuare così. Bisogna fare qualcosa. Bisogna dare la possibilità ai tossicodipendenti di trascorrere la detenzione nelle comunità terapeutiche. La spesa per lo Stato sarebbe di gran lunga inferiore. Un tossico in comunità costa circa 70 euro al giorno, mentre un detenuto oltre 400 euro al giorno. Purtroppo, oggettivamente, l’Istituto di pena si è trasformato in un “girone infernale”. Dobbiamo fermare questa macelleria di detenuti e operatori di giustizia. Dobbiamo fare qualcosa per stimolare le coscienze della nostra classe politica al cambiamento.

L’unico modo che ho è quello di dare spazio alla testimonianza di chi è stato detenuto. Si tratta di una donna, l’unica sopravvissuta di una famiglia di tossicodipendenti.

LA TESTIMONIANZA

“Vorrei ritornare a una vita normale”

Sono Elvira, ex tossicodipendente. Frequento il gruppo del dott. Vergineo da alcuni anni. Ho superato diversi mesi di sobrietà e questo mi fa sentire una donna molto diversa dalla cocainomane eroinomane di prima. Sono vedova (mio marito è morto per overdose). Ho due splendide figlie, studiose e serie. Io non le ho cresciute a causa della droga. Mia madre si è interessata di loro. Non ero in grado di dialogare, avendo sempre il cervello in tilt.

La mia storia è quella di tutte le donne schiave della droga. Sono sopravvissuta ad una sorella morta tragicamente dopo un volo dal quarto piano. Mio fratello è deceduto per aver ingerito molti grammi di cocaina. Voleva evitare di essere arrestato dalla polizia che lo controllava agli arresti domiciliari.

Ho conosciuto il carcere e voglio dirvi che è bruttissimo. Ho sofferto tanto. La mattina sveglia alle sei e trenta. Il rumore della battitura delle sbarre con il “ferro”. L’obbligo della pulizia della stanza e della preparazione del letto. Il carrello che arriva alla sette per la colazione e la paura che qualcuna ci ha sputato dentro per sfregio. La mancanza di soldi per la “spesina” che deve andare allo Spaccio del carcere. L’ora d’aria nello stretto cortile sempre buio. La visita medica per avere qualche Tavor. Il pranzo “freddo e scotto”. L’ora di socializzazione che dovevo evitare per via di alcune storie di gelosia con altre detenute. La TV che dopo pochi minuti diventava insopportabile. La paura di parlare con le altre detenute per non offendere “qualcuna”. Il caldo insopportabile dell’estate. Il sudore che si appiccica addosso e la doccia una volta a settimana. La vergogna di essere ristretta e di non trovare le parole per spiegarla ai tuoi cari. Una lotta continua, giornaliera. Il dolore che non riuscivo ad esprimere e che solo i bicchieri di vino delle amiche allentavano.

Adesso sono quasi sobria. I problemi di salute ci sono, ma vorrei tanto ritornare ad una vita normale. Mia figlia deve sposarsi e vorrei esserci al matrimonio. Chiedo perdono a mia madre per il dolore che le ho dato. Ringrazio gli amici del gruppo per il sostegno che mi danno. Scrivere queste righe di verbale mi ha fatto bene. Vi abbraccio tutti con affetto.

Dott. Pierluigi Vergineo

Medico Chirurgo Specializzato in Neurologia. Psichiatra presso l’Ambulatorio di Alcologia – Servizio Tossicodipendenze ASL BN1 - Benevento

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