Roma, 19 luglio 2024 – In Italia oggi il suicidio medicalmente assistito è possibile grazie alla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale che delinea i confini di intervento con l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico.
Le condizioni richieste dalla sentenza sono: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
A seguito dell’udienza dello scorso 19 giugno 2024, è attesa nelle prossime ore una nuova sentenza della Corte costituzionale sul fine vita. La Corte è infatti chiamata a esprimersi sul tema del suicidio medicalmente assistito, per la seconda volta dopo il caso di Dj Fabo. In questo caso dovrà pronunciarsi sull’aiuto fornito a dicembre 2022 da Marco Cappato, rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, da Chiara Lalli e Felicetta Maltese, che, mettendo in atto un’azione di disobbedienza civile, hanno accompagnato Massimiliano, toscano 44enne, affetto da sclerosi multipla, in Svizzera per poter ricorrere al “suicidio medicalmente assistito”.
Massimiliano si era recato in Svizzera perché non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale in senso classicamente inteso (come per esempio dispositivi, farmaci o macchinari sanitari con la funzione di rallentare il progredire della malattia e quindi il decesso), nonostante fosse dipendente totalmente da assistenza di terze persone per sopravvivere. Per questo avrebbe potuto incontrare ostacoli nell’accedere al suicidio assistito in Italia, reso legale, a determinate condizioni, dalla sentenza numero 242 del 2019 sul caso “Cappato\Antoniani” (Dj Fabo).
Oggetto della nuova pronuncia dei giudici della Corte sarà, dunque, il requisito del “trattamento di sostegno vitale”, ossia quello che si presta a un’interpretazione più ambigua e con potenziali effetti discriminatori, a causa del quale tanti italiani sono costretti ad andare in Svizzera per accedere al suicidio medicalmente assistito oppure a dover subire, contro la propria volontà, condizioni di sofferenza insopportabile.