Il femminicidio. All’interno la testimonianza di un marito

Crime scene in a vintage styleIl termine femminicidio è di recente introduzione. Nasce dalla necessità di indicare tutti quegli omicidi che interessano il genere femminile ad opera di mariti, fidanzati, amanti, ma anche padri e fratelli. Cita il Devoto-Oli “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

Tutti i giornalisti e gli specialisti interpellati tendono sempre a sottolineare che non si tratta di una follia amorosa, ma di una brutale violenza che nasce dall’idea di possedere un oggetto. Non sempre è così. La condanna di simili violenze è facile ma non altrettanto la comprensione.

L’amore secondo la cultura greca e la scuola medica dell’isola di Kos è una follia tanto che sin dall’Iliade e Odissea viene considerato una sorta di fascinazione magica che distrugge l’identità e la volontà dell’uomo. Per Socrate nel simposio di Platone l’Eros, figlio di Poros e Penìa, nasce dal bisogno, dal vuoto, dalla povertà, dall’improvvisa necessità di dare un senso all’esistenza. Secondo il filosofo greco, l’uomo per completarsi deve unirsi ad una donna e formare essere felici e completi di nome “androgini”.
Mentre per il cristianesimo ed il romanticismo l’amore è come una linea retta, infinita (si protrae anche oltre la vita), per l’uomo greco l’amore, come tutte le cose in natura, è ciclico, ovvero nasce, cresce e muore.

Per gli psicanalisti l’Eros è il principio di vita, energia, forza. Nel mito di Ercole ed Anteo, l’eroe greco riesce a uccidere il gigante solo quando lo solleva dalla terra, dalle cui viscere riceveva vigore e forza. L’Eros mette in contatto l’uomo con il suo inconscio e con la potenza del suo istinto, delle sue pulsioni e desideri. Apre la persona all’altro, lo fa uscire dal suo egoismo per riportarlo ad una nuova dimensione dove il “noi” sostituisce l’io”.

Dopo l’innamoramento, l’Eros si trasforma in “filia” ovvero in una relazione ove la passione è scomparsa per cedere posto ad un intenso legame di affetto senza eccessi. L’“agape”, ovvero la comunione, rappresenta il culmine del rapporto, dove la fusione è tale che l’uno non può vivere da solo in quanto la sua identità si confonde con quella dell’altro. La persona amata quando scompare si trascina in un baratro anche l’altro (vedi giulietta e Romeo).
Dopo queste 3 fasi si rovescia la medaglia. Inizia la “fobìa”, il fastidio, la paura, l’insofferenza. Finisce l’attrazione e si prova “neikos”, la rabbia. L’ultima fase è il “thanatos”, ovvero l’autodistruzione (principio di morte).

I femminicidi avvenuti nella provincia di Benevento sono molti. Nazzareno Viola uccise la moglie e gettò il cadavere in un pozzo. Aldo Iannace sterminò 3 donne (nonna, mamma e sorella). Un altro caso è quello del carabiniere Luigi Chiumiento, che dopo aver sparato con la pistola di ordinanza alla amatissima moglie (Raffaella Ranauro), si suicida lasciando tre figli orfani.

Flaubert parlava di educazione sentimentale per sottolineare l’importanza del controllo delle emozioni, delle passioni che possono spingerci al “thanatos”, all’autodistruzione. Per Freud la nostra esistenza è in bilico tra Eros e Thanatos (principi di vita e di morte). Solo lo sviluppo di una identità ben definita e autentica può salvarci dalla forza irrazionale dell’inconscio.

Nella testimonianza allegata parla un uomo, Giulio, diventato alcolista dopo che la moglie, avendo deciso di divorziare, lo denuncia per violenza carnale. È una storia vera, che da una parte esprime il dolore per una famiglia distrutta, dall’altra la determinazione di una donna che si rende conto che un uomo innamorato è anche un uomo pericoloso.

LA TESTIMONIANZA

“Io l’amo e lei non mi vuole”
Cari amici del gruppo, adesso voglio raccontare quella parte della mia vita che ancora non riesco bene ad inquadrare. Negli anni ottanta inizio a lavorare con mio fratello a Firenze, in una fabbrica di tegole e mattoni. Qui conosco mia moglie e dopo due anni è nata la mia prima figlia Debora. Dopo circa 8 anni di matrimonio, iniziano i problemi di famiglia (mi sento trascurato da mia moglie), di lavoro (vengo licenziato) e poi di salute (trapianto della valvola aortica).
Il 27.01.1990 ritorno a casa e mia moglie mi dice: “Giulio, voglio divorziare”. Lì per lì dissi a me stesso “questa oggi ha preso troppo sole”. Tranquillamente le risposi “… sto male e non mi sembra il momento di scherzare. Comunque quella è la porta e vai dove vuoi. Ciao”. Poco dopo arrivano i carabinieri che lei già aveva chiamato per paura della mia reazione. Temeva per la sua incolumità. Sotto shock, pensavo che ero stanco, che avevo il cuore dimezzato, che senza casa e famiglia, da solo, non potevo vivere. Pensavo che lei purtroppo non lo aveva capito. Stop.
Due mesi dopo mi denuncia per “violenza”. Volete sapere che cosa avrei fatto? Ora ve lo dico. Violenza carnale… stop. Vengo cacciato di casa, inizio a bere smodatamente, subisco il carcere, due processi, una sofferenza indicibile. Sono arrivato a minacciarla. Ho pensato di ucciderla. Io l’amo e lei non mi vuole. Possibile che non si renda conto della mia sofferenza? Perché mi ha sposato?
Ora vorrei chiedere a tutti coloro che stanno ascoltando e a tutti coloro che leggeranno queste righe: “una persona sposata, con due figlie, con due aborti, con all’incirca 5.000 notti insieme, ha bisogno di violentare sua moglie?”. La risposta potete darmela quando riuscirete a risolvere questo rebus. Mi fermo qui anche perché è finito il foglio.
Vi auguro ogni bene. Giulio

Dott. Pierluigi Vergineo

Dott. Pierluigi Vergineo

Medico Chirurgo Specializzato in Neurologia. Psichiatra presso l’Ambulatorio di Alcologia – Servizio Tossicodipendenze ASL BN1 - Benevento

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