Uno studio, condotto da un team internazionale coordinato da Sapienza Università di Roma e dall’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche, mostra un’affinità genetica tra Fulani e individui del Marocco risalenti al Neolitico. I risultati, pubblicati sulla rivista Current Biology, individuano nei pastori nomadi Fulani i discendenti di una antica popolazione “pan-Sahariana” che si è poi definitivamente frammentata e divisa con la desertificazione della regione africana
Roma, 23 novembre 2023 – Un team di ricerca internazionale, coordinato dalla Sapienza e dall’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) di Roma, ha condotto uno studio che fa luce sul ruolo dei cambiamenti climatici del Sahara.
Sfruttando l’informazione contenuta nell’intero genoma di 43 individui e applicando le nuove tecnologie di sequenziamento ad alta copertura, i ricercatori si sono focalizzati sui Fulani, la più estesa popolazione di pastori nomadi al mondo, attualmente stanziata lungo tutta la fascia saheliana, immediatamente a sud del deserto del Sahara. Questa popolazione, da studi genetici e antropologici precedenti, sembrava presentare delle caratteristiche peculiari, diverse da quelle delle popolazioni circostanti.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Current Biology, ha indagato la natura di questa specificità al fine di darne anche una caratterizzazione storica e cronologica attraverso il confronto con altri genomi moderni e antichi presenti in letteratura.
Per la prima volta è stata evidenziata una forte affinità genetica, finora solo ipotizzata sulla base di elementi culturali e reperti archeologici, tra i Fulani e individui del Marocco risalenti al Neolitico. Con un approccio di analisi congiunta di genomi moderni e antichi mai applicato per il continente africano, è stato possibile collocare l’origine dei Fulani nell’arco dell’ultimo periodo umido del Sahara (12.000-5.000 anni fa, denominato “Green Sahara”), quando l’attuale deserto era invece una terra fertile, rigogliosa e abitata, facendo di questa popolazione la testimone chiave di uno dei più grandi cambiamenti climatici del continente africano.
“Gli approcci utilizzati in questo studio ci hanno inoltre permesso di fare luce sulla storia recente dei Fulani, che risultano suddivisi in due sotto-gruppi geneticamente distinti a causa di fattori socio-culturali non ancora ben caratterizzati”, spiega Flavia Risi, dottoranda in genetica e biologia molecolare presso la Sapienza Università di Roma e co-autrice della ricerca.
Lo scenario ipotizzato sulla base di questi risultati propone inoltre la presenza nel “Green Sahara” di frequenti contatti e migrazioni tra le popolazioni, a formare una sorta di popolazione “pan-Sahariana” che si è poi definitivamente frammentata e divisa con la desertificazione dell’area, a partire da 5.000 anni fa ma di cui rimane traccia nei Fulani in virtù di uno stile di vita particolarmente isolato.
“L’ambiente fertile del Sahara ha sicuramente promosso estesi movimenti e contatti tra le popolazioni del Sahara e i risultati di questo studio aiutano a tracciare una linea di congiunzione tra gli antichi pastori sahariani e i moderni Fulani” spiega Eugenia D’Atanasio, ricercatrice dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Cnr (Cnr-Ibpm) e co-coordinatrice dello studio.
Lo studio rappresenta un contributo alle conoscenze attuali sulla storia evolutiva umana e sulla sua biodiversità, in particolare nel continente africano, luogo che ospita la più grande ricchezza genetica per la nostra specie. Tali risultati evidenziano poi come spostamenti e contatti transahariani non siano solo un fenomeno recente, ma una realtà storica antichissima, confermando infine il ruolo dei grandi cambiamenti climatici (come la desertificazione) nelle migrazioni umane.
“L’Africa, nonostante la sua ricchezza culturale e genetica, è ancora poco studiata a livello genomico. Oltre alle informazioni sul popolamento del “Green Sahara”, le sequenze genomiche prodotte durante questo studio rappresentano uno strumento essenziale per la comunità scientifica in quanto permettono di colmare, almeno in parte, una grossa lacuna nella nostra conoscenza della diversità umana”, aggiunge Fulvio Cruciani del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università di Roma e PI del progetto.