Napoli, 24 giugno 2024 – Il cervello parla con il corpo e lo influenza. Comprendere la connessione tra il cervello e il resto del corpo è proprio lo scopo dello Spoke 4 di MNESYS dedicato a “Percezione e interazione cervello-corpo”.
“Lo Spoke 4 si occupa di indagare il modo in cui il cervello interagisce con l’ambiente, cioè di come ad esempio vista e tatto vengano utilizzati per farci muovere – spiega Patrizia Fattori, ordinaria di Fisiologia Università di Bologna e coordinatrice dello Spoke 4 – Stiamo ad esempio registrando le scariche elettriche che passano da un neurone all’altro per capire cosa si dicono, come se ascoltassimo delle intercettazioni telefoniche, allo scopo di decriptare informazioni riguardo i comandi motori”, aggiunge Fattori.
A tal scopo, lo studio “Similar neural states, but dissimilar decoding patterns for motor control in parietal cortex”, pubblicato ad aprile 2024 su Network Neuroscience a opera del gruppo di ricerca di Neurofisiologia del Sistema Visuomotorio guidato da Patrizia Fattori e condotto su primati, approfondisce il tema di quale area del cervello sia la più adatta a essere la sorgente di segnali neurali per guidare le neuroprotesi del futuro.
Si sta lavorando infatti a una nuova generazione di dispositivi cervello-macchina, che includerà ad esempio sedie a rotelle avanzate ed esoscheletri controllati con il pensiero. Per fare questo, un punto cruciale è riuscire a “leggere” in modo più efficiente l’intenzione del movimento in chi soffre di deficit motori che impediscono il normale controllo sul corpo e i muscoli.
“La trasformazione dell’informazione che ci circonda in segnali che ci permettono di muoverci come vogliamo e di interagire con l’ambiente, è opera di molteplici aree del cervello. Dallo studio emerge come due specifiche aree parietali, V6A e PEc, rappresentino delle buone candidate all’interno delle quali effettuare un ipotetico impianto neuroprotesico. Queste regioni sono normalmente deputate a mettere insieme informazioni visive, spaziali relative all’oggetto con cui interagire e alla posizione del corpo nello spazio – spiega la professoressa – Queste conoscenze di base consentiranno di aiutare pazienti con deficit motori, come ad esempio chi ha una lesione del midollo spinale che causa la disconnessione del cervello dai muscoli, o, in caso di ictus, per aumentare la loro autonomia”.
Parallelamente a come il cervello influenza il corpo, anche il corpo influenza il cervello. Il corpo parla con il cervello non solo attraverso connessioni nervose, ma anche per mezzo di segnali provenienti dal microbiota. Individuare quali, fra questi segnali, possano influenzare la salute del cervello e avere eventualmente un ruolo nella “storia naturale” delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, è uno degli obiettivi dello Spoke 4 e dello studio “Experimental colitis in young Tg2576 mice accelerates the onset of an Alzheimer’s-like clinical phenotype” condotto dall’Università di Bologna, da un gruppo di ricerca guidato da Laura Calzà e Luciana Giardino.
Svolto su roditori e pubblicato sulla rivista Alzheimer’s Research & Therapy a maggio 2024, ha evidenziato che l’infiammazione del colon anticipa l’insorgenza dei difetti di memoria della malattia di Alzheimer. Invecchiando precocemente, il microbiota intestinale provoca un’infiammazione organica e altera le proprietà degli astrociti, una popolazione di cellule gliali che svolge un ruolo fondamentale di supporto all’attività dei neuroni.
“Questo lavoro rientra all’interno dell’inquadramento di riferimento stabilito dalla commissione Lancet Neurology del 2020 su prevenzione, intervento e cura della demenza e sull’importanza di identificare i fattori di rischio modificabili che entrano in gioco sull’insorgere della fase sintomatica di questa patologia – riferisce Calzà, ordinaria di Anatomia degli animali domestici del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna – Se è vero infatti che la malattia di Alzheimer si sviluppa subdolamente per anni, danneggiando il cervello prima che compaiano i sintomi e venga diagnosticata, è altrettanto vero che conoscere questa fase presintomatica della malattia apre possibilità preventive e terapeutiche completamente nuove, ad esempio regolando opportunamente i segnali che derivano dal microbiota”.
“Ad oggi, la Commissione Lancet su prevenzione, intervento e assistenza alla demenza ha individuato 12 fattori di rischio modificabili responsabili di circa il 40% delle demenze mondiali, che di conseguenza potrebbero essere teoricamente prevenute o ritardate e che influenzano individui di tutte le età – conclude Fattori – La nostra comprensione della demenza sta cambiando, con la descrizione più recente di nuove cause patologiche e ciò permetterà di ridurre sempre più l’impatto di queste patologie”.