Roma, 16 febbraio 2022 – “La comunicazione della diagnosi è il momento più delicato, anche la paziente più consapevole non lo è più. Il tumore della mammella colpisce corpo, mente, anima, relazione umana, ha un aspetto così intimo che tutto questo unito al discorso oncologico fa pensare che la vita sia finita in quel momento, ma non è così”. È il prof. Claudio Oreste Buonomo, chirurgo senologo Responsabile della Breast Unit del Policlinico Tor Vergata di Roma, a spiegare all’agenzia Dire l’organizzazione del percorso di accoglienza e presa in carico della paziente, dal sospetto di diagnosi fino all’ultimo controllo. Il tutto all’insegna della “multidisciplinarietà”, che vede lavorare insieme specialisti diversi dalla genetica, al chirurgo plastico, al fisiatra, all’oncologia, come ha spiegato.
La testimonianza di Vale e l’equipe che l’ha accolta
Un percorso durissimo che testimonia con energia e senza giri di parole la giovane Valentina Milanese, avvocata penalista testimonial di questa prima tappa nel viaggio della Dire nelle Breast Unit italiane. “È oggi molto doloroso per me tornare indietro a quella che è stata una tragedia di vita- ha raccontato- perché quando a 38 anni ti diagnosticano un carcinoma mammario ti crolla addosso il mondo addosso, sei impaurita”.
Valentina, che nel reparto è per tutti ‘Vale’, tiene a sottolineare quanto il sostegno anche emotivo e psicologico ricevuto durante quel percorso di chirurgia e cura, – “16 cicli di chemio che mi hanno devastato e poi radio e adesso cure ormonali quotidiane” – sia stato fondamentale. Oggi prosegue i controlli, la paura più grande resta il cancro e la speranza è “trovare medici e strutture come queste che ti danno forza; speranza è la ricerca perché queste malattie cambiano la vita”, ha detto.
La Breast Unit ha un “cup interno”, come ha spiegato ancora il prof. Buonomo, “abbiamo un questionario e in base al rischio che evidenzia prenotiamo una visita in un tempo contenuto anche in giornata, perché abbiamo 3 ore di ambulatorio al giorno e un medico disponibile tutti i giorni anche il sabato mattina che può visitare anche in giornata”.
Sul percorso di prevenzione il senologo ha riepilogato alcune regole di riferimento: “Per le pazienti con rischio familiare un’eco già a 30 anni, se c’è mutazione esiste un percorso dedicato a queste famiglie anche prima di quell’età e anche per i maschi, altrimenti dai 35-40 anni eco e mammografia in un centro di senologia con un radiologo senologo. Oggi possiamo fare diagnosi anche di tumori di 2 mm e questo vuol dire guarire”, ha sottolineato.
La cura, l’asportazione del tumore e la ricostruzione
Il percorso di guarigione è fatto anche di “ritorno alla normalità”, superare la mutilazione che la malattia spesso lascia sul seno della donna, che ci sia un’asportazione parziale o totale della mammella. Lo ha spiegato il prof. Benedetto Longo, chirurgo plastico della Breast Unit: “Abbiamo diverse tecniche da offrire alla paziente, anche in base alla chirurgia subita e al corpo della paziente”.
“Se la mastectomia è totale – ha spiegato – possiamo offrire procedure che vanno dagli impianti protesici ai tessuti autologhi (propri della paziente)”. Tra queste tecniche la “migliore è senz’altro quella del lembo diep – ha puntualizzato il chirurgo – c’è il sacrificio di operare un’altra area per ricostruire il seno, ma è una ricostruzione definitiva per il resto della vita”.
Nel caso del lembo diep, che per la prima volta è stata eseguita dal prof. Longo al Policlinico Tor Vergata, “viene presa la porzione inferiore dell’addome, tessuto adiposo e cute, chiusa poi come un’addominoplastica, e trapiantata in sede mammaria, si tratta di un trapianto vero e proprio. Ricostruire il seno non comporta un aggravamento o un’alterazione della patologia – ha ribadito il chirurgo plastico – ma anzi accelera il recupero e il ritorno alla normalità della paziente”.
Va ricordato che la procedura di ricostruzione in Italia è interamente a carico del sistema sanitario nazionale base e “il mio invito alle donne – ha ribadito – è di ricostruire, laddove possibile, subito in un unico intervento”. Va tenuto conto che nei movimenti più recenti, nati soprattutto negli Stati Uniti sulle donne che ‘scelgono’ di rimanere flat, senza seno dopo il tumore, ci sono ragioni psicologiche, emotive, ma anche spesso e sempre di più di natura economica.
Una canzone in cuffia ogni seduta di chemio
Parla di “abbracciare tutto il percorso della paziente” l’infermiera Noemi Mercuri che con gli altri 3 colleghi della Breast Unit gestisce gli appuntamenti, sostiene e supporta le donne che arrivano e devono affrontare un percorso terapeutico, anche nel follow up successivo “privilegiando anche i canali esterni” ai quali le pazienti possono rivolgersi.
E il percorso dei controlli dopo la diagnosi e la cura è sempre faticoso. Ne sa qualcosa Valentina che oggi, a distanza di 3 anni dalla diagnosi, continua i controlli con l’energia che l’ha accompagnata dal primo momento, anche grazie al grande aiuto della sua famiglia. Vale è nella Breast Unit di Tor Vergata una testimonial preziosa, che porta a tutti forza e tenacia, ironizza con sorriso e commozione i suoi capelli neri finalmente ricresciuti e ricorda con una voce carica di emozione quando metteva in cuffia per ogni seduta di chemio la canzone che a lei ha dedicato sua sorella minore, la cantautrice Kris, che con questo brano ha vinto il premio della critica Mia Martini 2019. “È una canzone che sa di energia, di vita, di forza”, ha detto Valentina, perché nonostante tutto, come dice il brano ne “Vale ancora la pena”. Sempre.
(fonte: Agenzia Dire)