Alle radici del bullismo, le considerazioni del prof. Federico Tonioni, responsabile dell’Area delle Dipendenze del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e docente di Psichiatria all’Università Cattolica
Roma, 6 febbraio 2020 – Tutti nel corso della vita, ci siamo sentiti esclusi, presi in giro o aggrediti almeno una volta. A tutti è capitato di sentirsi soli o di provare vergogna, quando ciò che nascondevamo di noi improvvisamente si è reso visibile. Abbiamo vissuto queste esperienze con più dolore di quanto possiamo ricordare, perché di fronte alla vergogna non esiste riparazione.
E allora ci sono bambini e adolescenti che reagiscono, altri che razionalizzano e trattengono la rabbia, altri ancora che si sentono andare in pezzi e cominciano a evitare le relazioni con gli altri. È qui che dobbiamo preoccuparci, quando un ragazzo si sente solo ancor prima di decidere che è meglio rimanere da solo, ritirandosi e diventando inaccessibile.
Il bullismo pericoloso, quello che genera un dolore che non si può tollerare, non è un aggressione subita, ma una vera esperienza persecutoria. Una vittima sente il suo destino segnato prima ancora di incontrare i suoi persecutori, ma non esprime questo disagio perché la stima che ha di sé è così bassa da pensare di non avere un’intimità degna di essere condivisa. Nessun bambino nasce così, ma qualcuno diventa così.
Il bullismo nasce in famiglia, nella complessità delle relazioni e degli affetti, e si manifesta a scuola nel confronto con i coetanei. Bulliziamo i nostri figli in tanti modi, quasi sempre inconsapevolmente, senza chiedere scusa, lontani dall’assumercene la responsabilità.
Lo facciamo quando non abbiamo tempo per loro ma lo neghiamo a noi stessi, lo facciamo quando sono deluse le nostre aspettative e ci sentiamo traditi, lo facciamo tutte le volte che diamo una regola per vincere su di loro e li riduciamo all’obbedienza, senza iniziare una trattativa.
Un bambino che obbedisce accumula rabbia e si sente annullato, un bambino che partecipa a una trattativa, si sente competente, impara a tollerare le frustrazioni che si può permettere di tollerare e acquisisce il senso del limite e i confini della sua identità.
Crescere un figlio vuol dire mettersi nei suoi panni e non imporre il contrario. I bambini sani studiano senza fare troppa fatica e smettono di fare uno sport se non si divertono più. Sono bambini che non si sentono in colpa quando non sono come dovrebbero essere, che riescono a dire una bugia e che ogni tanto non dicono grazie.
Il bullismo non è una malattia da curare a scuola ma un dolore da prevenire in famiglia, non dimenticando che quando i genitori ce la mettono tutta hanno anche diritto di sbagliare.