A cura del prof. Mauro Silvestrini, Direttore della Clinica Neurologica del Dipartimento di Neuroscienze, dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche
Che cos’è l’ictus
Nel nostro paese l’ictus rappresenta la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e rappresenta la prima causa di invalidità. Ogni anno, circa 180.00 mila italiani vengono colpiti da un ictus ischemico o emorragico.
Si tratta di una malattia circolatoria che interessa il cervello e che si manifesta con la comparsa acuta di un deficit neurologico. Compare quando l’afflusso del sangue diretto al cervello si interrompe improvvisamente per l’occlusione o la rottura di un’arteria: nel primo caso si parla di infarto cerebrale o ictus ischemico, mentre nel secondo caso di emorragia cerebrale o ictus emorragico.
L’ictus ischemico è il più frequente, interessando oltre l’80% dei pazienti. L’ostruzione di una arteria può dipendere dalla formazione di placche aterosclerotiche. L’occlusione delle arterie cerebrali, però, può derivare anche dalla migrazione di un embolo dal cuore, in particolare nei pazienti con fibrillazione atriale, o da una grossa arteria del collo.
In un numero rilevante di casi, l’ischemia è legata all’ostruzione di una arteria di piccole dimensioni, favorita dalla degenerazione delle sue pareti in presenza di condizioni come il diabete e l’ipertensione arteriosa. L’ictus emorragico (che è meno comune ma più grave) in genere è causato da elevati valori di pressione arteriosa e, in alcuni casi, dalla rottura di una malformazione congenita come un aneurisma. In quest’ultimo caso, il sanguinamento si localizza prevalentemente negli spazi esterni al cervello che subisce quindi danni indiretti.
Ci sono anche cause minori di ictus, che colpiscono soprattutto i giovani, come i difetti congeniti della coagulazione del sangue, le malattie reumatologiche, la presenza di una anomalia che determina la comunicazione tra i due atri del cuore. In tutti i casi, la zona del cervello irrorata dal vaso occluso o rotto va incontro a sofferenza: infatti, non può più ricevere ossigeno e glucosio, elementi che gli sono necessari per svolgere le sue attività e rimanere vitale. Ecco perché gli esiti sono diversi a seconda della zona interessata e delle sue dimensioni.
Ictus ed età
L’ictus è più frequente dopo i 55 anni, la sua prevalenza raddoppia successivamente ad ogni decade. il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5%.
Malgrado l’età avanzata rappresenti il principale fattore di rischio non modificabile, l’ictus può presentarsi a qualsiasi età, anche quindi nei giovani. In questo caso, come detto sopra, il rischio è legato alla presenza di condizioni predisponenti specifiche. Purtroppo, le fasce di età più giovanili tendono ad essere sempre più spesso colpite in relazione alla crescente diffusione di condizioni come l’obesità, l’uso di sostanze di abuso, il fumo di sigaretta.
Rimane il problema, spesso sottostimato di condizioni come l’ipertensione arteriosa, il diabete (fattori di rischio sia per l’ischemia che per l’emorragia) e la dislipidemia, per non parlare di situazioni come la sedentarietà, i disturbi del sonno e altre problematiche per altro ampiamente diffuse anche nei giovani.
Il sensibile aumento di casi di ictus in soggetti di età inferiore ai 45 anni che si è verificato negli ultimi anni nel nostro paese, è da attribuire anche alla maggior diffusione di alcol e droghe. L’insorgenza di ictus nei giovani adulti si associa a un tasso maggiore di mortalità e a un aumento di disabilità permanente, che risulta più grave anche in ragione della più lunga aspettativa di vita.
Come prevenire un ictus e quali sono gli aspetti da valorizzare in relazione all’età
In considerazione dei dati epidemiologici relativi all’impatto dell’ictus nelle diverse età, è chiaro che la prevenzione deve rappresentare un obiettivo fondamentale che va perseguito sin dall’età giovanile. Arrivare all’età adulta, quando il rischio aumenta sensibilmente, in buone condizioni fisiche, rappresenta un elemento fondamentale.
Sin dalla giovane età va quindi posta una particolare attenzione ad uno stile di vita adeguato che dia spazio ad una attività fisica costante che significa utilizzare tutte le possibilità disponibili come passeggiare, evitare l’uso dell’ascensore o, quando possibile, ridurre l’uso dell’auto privilegiando altri mezzi di trasporto come la bicicletta.
Questo tipo di atteggiamento contrasta il sovrappeso, l’ipertensione, il diabete e l’ipercolesterolemia che rappresentano, insieme al fumo di sigaretta, i fattori di rischio maggiori per le patologie vascolari.
Accanto all’attività fisica, l’ictus cerebrale si può prevenire anche mangiando in maniera equilibrata e curando il riposo notturno. È fondamentale poi sottoporsi periodicamente a controlli medici, tanto più importanti, quanto più si invecchia.
In generale, non si può settorializzare l’approccio alla prevenzione in relazione all’età, ma è chiaro che, mentre in un soggetto sano fino all’età di 50-55 anni valgono soprattutto le norme di aderenza ad un corretto stile di vita con la necessità di controlli medici periodici e modulabili in relazione alla presenza di condizioni patologiche come l’ipertensione o il diabete, in un soggetto anziano l’attenzione deve aumentare.
Il semplice invecchiamento delle strutture vascolari è di per sé un fattore di rischio per l’occlusione o la rottura di un vaso e quindi, a maggior ragione i controlli medici vanno effettuati con più regolarità allo scopo di tenere sotto controllo tutte le condizioni mediche predisponenti. Ovviamente, per gli stessi motivi, un adeguato stile di vita rimane fondamentale.
Come riconoscere un ictus, esistono dei campanelli d’allarme?
La comparsa improvvisa di perdita di forza o sensibilità a un braccio o a una gamba, la bocca che si storce, l’oscuramento o la perdita di visione da un solo occhio o in una parte del campo visivo, l’incapacità di esprimersi o di comprendere ciò che ci viene detto, sono tutte potenziali manifestazioni di un ictus. Anche un mal di testa violento, mai presentato in precedenza, può rappresentare un sintomo di un ictus, più spesso di tipo emorragico. Quest’ultimo, nella forma di emorragia subaracnoidea, può rappresentare la conseguenza della rottura di un aneurisma congenito, che si verifica spesso in giovane età.
Di fronte a questi sintomi, è importante chiamare subito il 118 o recarsi in ospedale, perché la possibilità di essere curati è legata alla precocità della somministrazione delle terapie. Il cervello è l’organo più delicato e fragile che possediamo. L’ictus interrompe il flusso di sangue in una parte più o meno estesa del cervello e le cellule cerebrali, private dell’ossigeno e degli altri nutrienti, iniziano a morire ad una rapidità impressionante.
È fondamentale divulgare il concetto di “time is brain” (il tempo è cervello) per far comprendere in maniera chiara che le strutture del cervello sottoposte a una condizione di crisi circolatoria hanno i minuti contati e per questo non si deve perdere tempo. Anche la semplice consultazione del medico di medicina generale in questa fase è non solo inutile, ma anche dannosa perché le cure possono essere somministrate solo in un ospedale attrezzato.
Saper riconoscere i sintomi sospetti, chiamare il 118 e arrivare in ospedale nel più breve tempo possibile, è la sequenza virtuosa che può salvare il nostro cervello.
Come si cura un ictus
Fondamentale è la precocità della diagnosi e dell’intervento terapeutico. L’educazione sul riconoscimento precoce dei sintomi e il trasporto in un Ospedale in grado di curare adeguatamente il paziente è fondamentale. Più precoce è l’intervento, più sono efficaci le terapie, minori sono le complicanze del trattamento.
Per le emorragie, esistono tutta una serie di indicazioni rivolte al contenimento dell’estensione del sanguinamento, mentre sono in fase di sviluppo veri e propri approcci di terapia specifica. Per l’ischemia sono invece disponibili già da tempo farmaci fibrinolitici che permettono la dissoluzione del materiale ostruttivo a livello arterioso, favorendo il ripristino rapido della circolazione in modo da limitare i danni al tessuto cerebrale.
In alcuni casi, la terapia farmacologica può essere associata o sostituita dai trattamenti endovascolari. Attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale, si risale fino al cervello e nella zona in cui è presente l’ostruzione vengono aperti dei tubicini metallici (stent) in modo da ricostituire un passaggio per il flusso sanguigno.
Si tratta di tecniche che richiedono una alta specializzazione e che, per tale motivo, non possono essere effettuate ovunque, ma solo ed esclusivamente negli ospedali dotati di Stroke Unit, ovvero di unità neurovascolari dedicate alla gestione dei pazienti con ictus acuto.
Va ulteriormente ribadito che questo tipo di interventi in fase acuta non sono differenziati in relazione all’età del paziente. Le stesse terapie vanno applicate ai giovani e ai grandi anziani, senza differenze. Esisteva inizialmente una perplessità si possibili rischi di effetti collaterali nei pazienti di età avanzata. Studi recenti hanno ribadito che la fibrinolisi farmacologica e gli interventi endovascolari mantengono la loro efficacia e sicurezza anche nei soggetti che sviluppano un ictus dopo l’età di 85 anni.
Cosa deve fare un paziente dopo un ictus
È fondamentale evitare una recidiva. Il trattamento di tutte le condizioni di cui si è parlato prima e definite come fattori di rischio, deve rappresentare una assoluta priorità che richiede una stretta collaborazione tra i medici e i pazienti. Nel caso dell’ictus ischemico, in relazione alla condizione che ha presumibilmente causato il problema, esiste l’indicazione all’uso di farmaci come gli antiaggreganti piastrinici e gli anticoagulanti, in grado di migliorare il flusso e ridurre il rischio di occlusioni dei vasi sanguigni.
La riabilitazione delle funzioni compromesse dalla lesione ischemica o emorragica è un altro capitolo di grande importanza. L’approccio riabilitativo deve essere pianificato sin dalle fasi iniziali della malattia e accompagnare il paziente fino a che ci sarà un margine di miglioramento con l’ausilio anche di farmaci in grado di gestire le possibili complicanze dei deficit, ad esempio la spasticità che spesso si associa ad un deficit motorio.