Padova/Venezia, 12 ottobre 2021 – Secondo uno studio recentemente pubblicato nella prestigiosa rivista Chemosphere, dal titolo “Maize plant (Zea mays) uptake of organophosphorus and novel brominated flame retardants from hydroponic cultures”, condotto da ricercatori dell’Università di Padova e dell’Università Ca’ Foscari Venezia, è stata confermata la potenzialità dei ritardanti di fiamma – additivi chimici applicati su un’ampia gamma di materiali per aumentare la resistenza al fuoco – di essere accumulati nelle piante e dunque di entrare nella catena alimentare umana con conseguenti effetti sulla salute.
Lo studio ha indagato sperimentalmente il potenziale accumulo nella catena alimentare dei ritardanti di fiamma (FR). Si tratta di additivi chimici applicati su un’ampia gamma di materiali (tessuti, schiume, dispositivi elettrici ed elettronici, legno, prodotti da costruzione e isolanti) per aumentare la resistenza al fuoco e contribuiscono ad evitare la rapida propagazione delle fiamme.
“Da tempo la letteratura scientifica ha considerato i ritardanti di fiamma come tossici per l’uomo e pericolosi per l’ambiente. La presente attività di ricerca, basata sullo studio di un elevato numero di test sperimentali – spiega il prof. Alberto Pivato del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Padova, co-autore dello studio – ha confermato la potenzialità dei ritardanti di fiamma, anche di ultima generazione, di essere accumulati nelle piante di Mais e dunque di entrare nella catena alimentare umana con conseguenti effetti sulla salute”.
“Il concetto di bioaccumulo, il cui ruolo primario viene messo in evidenza nel nostro studio – spiega il prof. Rossano Piazza del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari Venezia, co-autore dello studio – mette in evidenza la necessità di una piena implementazione dei principi dell’economia circolare, al fine di ripensare al fine vita di tutti gli additivi chimici utilizzati in prodotti di così largo consumo”.
“Molti nuovi composti, infatti, a causa della loro elevata stabilità chimica, finiscono nell’ambiente attraverso diverse vie (dilavamento, deposizione atmosferica, rilascio da rifiuti ecc.) e si ripartiscono nei vari comparti ambientali fino ad arrivare negli organismi viventi attraverso complessi meccanismi di bioaccumulo e biomagnificazione. Questi studi risultano di fondamentale interesse per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica”, conclude il prof. Piazza.
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