Ormai non si parla d’altro, donne, bambini e uomini, se il destino vuole, approdano sulle nostre coste. È lo Straniero che avanza, che si mostra. L’intruso per alcuni, la vittima romantica, per altri.
La sua presenza vive i nostri pensieri e in segreto anche la nostra identità. Lo Straniero ci abita, è dentro noi, riconoscerlo consentirebbe di risparmiare tempo e fatica, evitando di detestarlo negli altri.
L’inquietudine che suscita svela il rifiuto di vedere l’Altro nel cuore di noi stessi.
Per alcuni studiosi l’esperienza rinvia ai desideri e alle paure infantili dell’Altro, l’Altro della morte, l’Altro della pulsione.
Così nel combattere lo Straniero, noi lottiamo contro il nostro stesso “improprio”, contro il nostro inconscio.
Auspicabile sarebbe quindi riconoscere in noi l’essere “disintegrato” e operare una sorta di “integrazione”, affinché si possa cogliere e accogliere, nel tempo medesimo, la loro e la nostra estraneità.
Riconoscere il demone e il perturbante in noi, consentirebbe di provare meno angoscia verso l’Altro, e di comprendere finalmente d’essere tutti Stranieri.
La percezione d’essere sradicati e minacciati si presenta in questi tempi con un carattere di urgenza assoluta.
La cosa appare stravagante. Dove è finita la saggezza locale, il genius loci, la memoria stratificata. Rimossa, o peggio negata, dinanzi a tanta straordinarietà ed emergenza.
L’esperienza non è forse la risposta attraverso cui la società riesce a metabolizzare la modernità senza ricorrere ai “traumi della novità”?
Scopriamo così che l’immigrato, il nomade, i rifiuti, sono divenuti eventi emergenziali, sorprendenti, inediti, paurosi. Nuove presenze marciano sui nostri confini, incombono sul limes tra Nord e Sud, creando effetti perturbanti e mostrando che il Sud, ahimè, non resta a Sud. Sono i nuovi Barbari, gli Stranieri divenuti fantasmi delle diversità. Incutono paura perché smentiscono l’ovvio, denunciano i limiti dello spazio domestico, segnalano il banale e le abitudini su di esso fondate. Lo spaesamento diviene così rancore verso coloro, che ci hanno “a tal punto ridotto” o soltanto destati a un nuovo presente.