La diagnosi precoce consente di trattare meglio l’infezione, più rapidamente e in modo più efficace. Negli ultimi 7 anni in Italia il numero di nuove diagnosi è stato stabile, e sono state causate soprattutto da infezioni a trasmissione sessuale, sia da rapporti eterosessuali che tra maschi che fanno sesso con maschi. Più del 50% delle nuove diagnosi avviene in condizioni avanzate di malattia
Roma, 18 novembre 2019 – Finalmente si torna a parlare e a fare informazione sull’HIV. Da troppo tempo le campagne di informazione non hanno più coinvolto la popolazione, specie giovani e giovanissimi, sui rischi di un’infezione che si mostra comunque sempre minacciosa e pronta a approfittarsi dell’ignoranza e del pregiudizio. Anche nel nostro Paese, i cosiddetti ‘Millennials’ mostrano evidenti lacune ed è compito delle istituzioni, della scuola e delle famiglie contribuire a riempire questo vuoto creatosi in venti anni di rarefazione e scarsa conoscenza.
Uno studio europeo e americano, con l’Italia che ambisce a giocare un ruolo da protagonista contro l’HIV: lo studio clinico Mosaico si propone di valutare l’efficacia di un regime vaccinale preventivo anti HIV per il quale è già stata richiesta alle autorità competenti (Ministero Salute, AIFA e Comitati Etici) l’autorizzazione all’esecuzione dello studio clinico.
Il vaccino sperimentale ha raccolto i risultati degli studi di fase 1/2a in termini di sicurezza e immunogenicità e si appresta ad esser sperimentato all’interno di una popolazione più ampia. Il regime vaccinale in questione, che possiamo definire “a mosaico”, è stato sviluppato per essere potenzialmente un vaccino con approccio globale per la prevenzione dell’infezione da un’ampia varietà di ceppi virali, responsabili della malattia.
“La prova della sua efficacia – spiega il prof. Adriano Lazzarin, ospedale San Raffaele, Milano – la potremo avere solo a studio concluso. La complessità e variabilità dei processi di risposta immune innescati da HIV (linfociti B, linfociti T, cellule accessorie) nel singolo individuo lasciano purtroppo margini di imprevedibilità, e questo trial sarà una buona opportunità per conoscerli meglio”.
La storia del vaccino
“Subito dopo la scoperta del virus più di trent’anni fa – prosegue il prof. Adriano Lazzarin – i principali centri di ricerca internazionali hanno dedicato notevoli risorse allo sviluppo di un vaccino preventivo contro il virus HIV: le difficoltà di trovare un vaccino in grado di indurre un risposta immunitaria efficace contro un virus con una eccezionale mutagenesi e una altrettanto evidente capacità di eludere i meccanismi di controllo immunologico da parte dell’ospite hanno rallentato moltissimo la concretizzazione di trial vaccinali nelle popolazioni a rischio. Soltanto nel 2009 sono stati pubblicati sul NEJM i risultati della vaccinazione con ALVAC ed AIDSVAX per prevenire la infezione da HIV in Thailandia che purtroppo hanno dimostrato come l’efficacia del vaccino fosse risultata del 31.2%, lontana dal limite del 60% che avrebbe reso convincente un piano vaccinale. Un aggiustamento del candidato ad un successivo piano vaccinale in Sud Africa ha poi fornito nello studio di fase ½ risultati più convincenti e ha dato qualche informazione in più sui correlati immunologici di una risposta immune efficace”.
Il contenuto dello studio
Mosaico è uno studio clinico interventistico internazionale, che prevede l’arruolamento di 3.800 persone, in circa 55 centri in otto Paesi distribuiti in tre continenti. L’inizio dello studio è previsto negli Stati Uniti in queste settimane e, previa approvazione dalle autorità competenti locali, potrà avere luogo anche in Argentina, Brasile, Italia, Messico, Perù, Polonia, Spagna.
Questo studio è condotto da Janssen in partnership, a livello globale, con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), l’HIV Vaccine Trials Network (HVTN) all’interno del Fred Hutchinson Cancer Research Center e la U.S. Army Medical Research and Development Command (USAMRDC), che con uno sforzo congiunto, lavorano per avanzare il progresso scientifico affinché sia possibile rendere disponibile un vaccino preventivo l’HIV. L’obiettivo è quello di studiare un regime vaccinale che preveda quattro somministrazioni nell’arco temporale di un anno.
L’HIV oggi in Italia
Negli ultimi 7 anni in Italia il numero di nuove diagnosi è stato piuttosto stabile, e i nuovi casi sono state provocati soprattutto da infezioni a trasmissione sessuale, sia di tipo sia eterosessuale sia omosessuale. Più del 50% delle nuove diagnosi avviene in condizioni avanzate di malattia, cioè quando il livello di linfociti CD4 è al di sotto delle 350 cellule, o addirittura alla comparsa di sintomi o manifestazioni cliniche legate alla malattia conclamata.
“Sono circa 15mila le persone che non sanno di essere infette e che ritardano inconsapevolmente la diagnosi non sottoponendosi al test HIV – spiega il prof. Andrea Antinori, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, Roma – La diagnosi precoce consente di trattare meglio l’infezione, più rapidamente e in modo più efficace. Chi inizia la terapia, nel momento in cui raggiunge la soppressione completa del virus, non è più contagioso e non trasmette più l’infezione. La diagnosi tardiva rappresenta, invece, un rilevante problema di sanità pubblica perché queste persone possono non soltanto ammalarsi più facilmente, ma anche trasmettere l’infezione ad altri, divenendo l’unico serbatoio potenziale di diffusione dell’infezione in Italia”.
“Ai fini della prevenzione – sottolinea il prof. Massimo Galli, Presidente SIMIT – va tenuto conto che i giovani, anche quelli che appartengono alle cosiddette popolazioni chiave, ove il rischio di infettarsi è maggiore, come i giovani maschi che fanno sesso con maschi – MSM, hanno poca o nessuna esperienza di malattia, propria o altrui, non hanno visto in presa diretta la malattia negli anni bui, funestati da migliaia di decessi, e hanno una percezione molto bassa della gravità potenziale dell’HIV. Nei giovani MSM l’informazione HIV può anche essere alta, ma spesso deriva tutta da forum in internet e non costituisce sempre un ostacolo a comportamenti a rischio”.