Su Nature Communications lo studio che rivela come il DNA disperde l’energia della luce UV: importanti le conseguenze nelle nanotecnologie e in farmacologia. La ricerca condotta dall’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr, Politecnico di Milano, Università di Bologna, Università della Tuscia e Heinrich Heine Universität Düsseldorf
Roma, 11 gennaio 2022 – Un nuovo studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature Communications spiega come il DNA si protegge dalle mutazioni causate dalla luce ultravioletta attraverso i suoi elementi costitutivi, i nucleosidi. I risultati, ottenuti sfruttando impulsi di luce di durata estremamente breve, potranno avere importanti applicazioni nelle nanotecnologie e in farmacologia, come la lotta al tumore della pelle.
Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn), del Politecnico di Milano, dell’Università di Bologna, dell’Università della Tuscia e dell’Heinrich Heine Universität Düsseldorf.
Il laser, infatti, permette di generare impulsi di luce incredibilmente brevi, con una durata di pochi milionesimi di miliardesimo di un secondo, e osservare fenomeni rapidissimi, come i processi fondamentali che avvengono quando la luce interagisce con gli organismi viventi, fra cui la visione o la fotosintesi.
Il DNA, la molecola che codifica le informazioni necessarie per la costruzione delle proteine, assorbe efficientemente la componente UV della luce solare, una proprietà comune a moltissime biomolecole. A causa dell’elevata energia della radiazione UV, il suo assorbimento potrebbe avviare una catena di reazioni chimiche, con conseguente corruzione delle informazioni codificate nella sequenza di basi (foto-danneggiamento) causando gravi conseguenze (come il tumore alla pelle).
Fortunatamente, nella maggior parte dei casi le molecole di DNA sono in grado di dissipare molto efficacemente l’energia della luce UV, grazie al processo di fotoprotezione, che ne impedisce il danneggiamento.
Nei nucleosidi questi processi sono particolarmente efficienti grazie alla velocità con cui viene dissipata l’energia assorbita, ma proprio la velocità ne rende particolarmente difficile lo studio, a lungo dibattuto dagli scienziati: da qui l’idea di utilizzare impulsi di luce ultrabrevi, per innescare questi processi e poi seguire tutte le fasi della loro evoluzione.
La tecnica è stata applicata allo studio di due nucleosidi: l’uridina e la metiluridina. Osservando sperimentalmente i processi molecolari su queste brevissime scale temporali, i ricercatori hanno compreso per la prima volta il meccanismo mediante il quale il nucleoside dissipa l’energia depositata dalla luce UV.
“La difficoltà di studiare processi molecolari così veloci è simile a quella di scattare una fotografia di un’auto in corsa a piena velocità: per evitare che la fotografia risulti mossa, si sceglie un tempo di esposizione sufficientemente corto. Se vogliamo scattare istantanee di un processo molecolare che dura meno di un di miliardesimo di secondo, abbiamo bisogno di lampi di luce UV molto brevi per catturarlo – spiega la prima co-autrice Rocío Borrego-Varillas, ricercatrice Cnr-Ifn e Politecnico di Milano – Studiare come i nucleosidi interagiscono con la luce su queste scale temporali molto brevi è fondamentale per comprendere i complessi processi fisici che portano al foto-danneggiamento del DNA”.
“L’interpretazione dei dati sperimentali è stata resa possibile grazie ad avanzate simulazioni teoriche, che hanno portato alla comprensione del fenomeno – aggiunge il primo co-autore Artur Nenov dell’Università di Bologna – Non solo: i nostri calcoli hanno chiarito anche la ragione per cui, nella metiluridina, il processo di dissipazione è 10 volte più lento rispetto all’uridina. Questa “lentezza” potrebbe spiegare perché le catene di DNA contenenti timidina (un nucleoside simile alla metiluridina) sono più inclini al foto-danneggiamento da luce UV”.
Fig. 1 – Un impulso ultrabreve nell’UV interagisce con una molecola di uridina, consentendo di girare un film “in tempo reale” del meccanismo che protegge gli elementi costitutivi del DNA dal danneggiamento indotto dalla luce ultravioletta (Crediti: Rocío Borrego Varillas)
Fig. 2 – Dettaglio del setup usato per l’esperimento (Crediti: Rocío Borrego Varillas)