Glioblastoma, trattamento immunoterapico personalizzato. Dal progetto GLIOMATCH nuove speranze di cura

Con il progetto GLIOMATCH 8 centri specialistici lavorano insieme per capire come l’immunoterapia può essere sfruttata per trattare i tumori cerebrali maligni negli adulti e nei bambini

Milano, 17 luglio 2024 – In occasione della giornata di sensibilizzazione sul glioblastoma, l’Istituto Neurologico Carlo Besta sottolinea il suo impegno verso quello che ad oggi è certamente il tumore cerebrale più aggressivo con un tasso di sopravvivenza a lungo termine (> 10 anni) inferiore al 2%.

Nonostante l’intensa attività di ricerca, la prognosi rimane infausta, ma nuove prospettive possono arrivare dalla ricerca sui trattamenti immunoterapici personalizzati.

Con l’obiettivo di comprendere meglio il ruolo dell’immunoterapia per il trattamento del cancro al cervello negli adulti e nei bambini, il Besta partecipa al progetto di ricerca GLIOMATCH finanziato dalla comunità europea. Si tratta del più grande consorzio di ricerca sui pazienti affetti da glioblastoma multiforme e da gliomi di alto grado pediatrici formato da 8 centri clinici europei coordinati dalla KU Leuven e dal Laboratorio per la Medicina di Precisione del Cancro.

Dal momento che diverse sperimentazioni cliniche suggeriscono che un sottogruppo di pazienti può trarre beneficio dall’immunoterapia – in particolare quella che utilizza le cellule dendritiche – scopo del programma è individuare in quale tipo di paziente questa terapia può essere utile.

L’identificazione di questi pazienti però risulta difficile, poiché mancano ancora in gran parte i biomarcatori – indicatori misurabili, come molecole o modificazioni nell’espressione di geni che possono rilevare informazioni sulla presenza del tumore, sulla sua progressione e sulla risposta al trattamento.

Oggi quasi il 20% dei pazienti affetti da glioblastoma (GBM) dell’adulto e da glioma pediatrico di alto grado (pHGG) può beneficiare di un trattamento personalizzato in base alle caratteristiche del proprio tumore. Ma in assenza di biomarcatori adeguati, molti ricevono applicazioni di immunoterapia subottimali.

Il team GLIOMATCH vuole cambiare questa situazione analizzando, mediante una piattaforma appositamente costruita, i dati clinici molecolari e radiologici di pazienti già trattati in passato con l’immunoterapia. Il progetto integrerà i dati clinici molecolari e radiologici, ottenuti con la risonanza magnetica, metodica non invasiva per consentire in futuro una terapia personalizzata ai pazienti.

Grazie al lavoro di squadra di 8 centri europei, gli studi clinici del progetto analizzeranno la più ampia coorte di pazienti affetti da gliomi di alto grado trattati con immunoterapia (circa 300), ottenendo informazioni preziose e proponendo nuove opzioni terapeutiche. Si sfrutterà la potenza dei dati integrando mappe tissutali multistrato a risoluzione spaziale con immagini di risonanza magnetica non invasiva, creando un hub radio multiomico di risonanza magnetica all’avanguardia. In questo modo i medici riusciranno a classificare gli individui in base alle caratteristiche del loro sistema immunitario e interpretare l’efficacia del trattamento con una precisione senza precedenti.

“Siamo orgogliosi di far parte del progetto GLIOMATCH che io coordino e a cui partecipano anche la dott.ssa. Serena Pellegatta, la dott.ssa Valeria Cuccarini, la Dott.ssa Bianca Pollo e la dott.ssa Catia Traversari. La condivisione di dati tra diversi centri specialistici è fondamentale per riuscire a riscrivere il futuro dei pazienti affetti da queste forme tumorali molto aggressive”, spiega la dott.ssa Marica Eoli, Neuroncologa della Neurologia 2, responsabile della S.S. Neuroncologia Sperimentale dell’Istituto Besta.

“Il Besta è impegnato da tempo nella ricerca di cure personalizzate contro glioblastoma. Il progetto prevede anche, dopo l’analisi degli studi retrospettivi, l’avvio di una sperimentazione clinica che implica la somministrazione della tossina tetanica associata alla vaccinazione con cellule dendritiche sensibilizzate verso il tumore del paziente stesso. È chiaro che soltanto unendo le forze e potenziando gli sforzi di collaborazione con i nostri partner potremo migliorare le cure e far progredire la ricerca in questo campo”, conclude la dott.ssa Eoli.

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