Gli uomini hanno bisogno di più morfina delle donne per ottenere lo stesso sollievo dal dolore

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È quanto racconta Antonio Corcione, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, alla vigilia del XIV Congresso Nazionale dell’Area culturale del dolore SIAARTI e del XXV Convegno della Sicurezza in Anestesia che si svolgerà a Napoli dal 10 al 12 dicembre presso il Centro Congressi della Stazione Marittima

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Prof. Antonio Corcione

Roma, 9 dicembre 2015

Professore, nonostante il sesso femminile sia più soggetto a condizioni cliniche caratterizzate da dolore cronico, perché quest’ultimo viene spesso misconosciuto e non adeguatamente trattato? È più difficile dunque curare il dolore nelle donne rispetto a quello degli uomini?
“Il dolore è un’esperienza complessa, che deriva dall’integrazione di componenti fisiche, psichiche e socio-culturali. Tra le prime sembrano essere rilevanti, per esempio, le dimensioni corporee e lo spessore della cute, mentre tra quelle psicologiche possono assumere un ruolo molto importante l’ansia e la depressione: tutti elementi che possono differire in modo sostanziale nell’uomo e nella donna. Tuttavia, anche fattori sociali e culturali hanno un impatto significativo, soprattutto sul modo di interpretare e comunicare il dolore.

Oggigiorno sappiamo che gli stimoli nocicettivi vengono percepiti e integrati in modo molto diverso nei due sessi e che il dolore cronico affligge in percentuale significativamente più elevata il sesso femminile: eppure, risulta che le donne hanno ancora una probabilità più bassa di ricevere le terapie adeguate. Le motivazioni per le quali persistono alcune barriere al trattamento analgesico nella popolazione femminile riconoscono forti radici psico-sociali, che possono essere identificate nei differenti ruoli di genere o nelle strategie di sopportazione del dolore, ma anche in una certa carenza nella comprensione o nell’accettazione di quelle differenze biologiche tra maschi e femmine che influenzano in modo rilevante le modalità di percezione del dolore”.

Le differenze di genere nella percezione e risposta al dolore sono da ascriversi principalmente alla sola azione degli ormoni? È vero che terapie farmacologiche risultano più tossiche per le donne, per cui è necessario ridurne le dosi?
“Alcuni studi suggeriscono che le differenze di prevalenza e di percezione del dolore possono essere in parte spiegate dal diverso assetto anatomico e ormonale, un’ipotesi supportata sia dal fatto che alcune di queste differenze sembrano attenuarsi alla fine della vita riproduttiva, sia dal riscontro che l’analgesia indotta da stress riconosce una modulazione da parte degli estrogeni e che alcune condizioni di dolore moderato, come quello mestruale, sono accompagnate da variazioni negli ormoni sessuali.

La ricerca ha ormai indicato con certezza che, in genere, nelle condizioni dolorose croniche le donne presentano un numero maggiore di ricorrenze, ma anche un dolore più intenso e più persistente rispetto agli uomini. Tali evidenze devono essere attentamente considerate ogniqualvolta si debbano valutare l’intensità del dolore, le sue conseguenze e il trattamento delle patologie sottostanti.

L’importante differenza presente a livello clinico tra maschi e femmine, la presenza cioè di molte più donne sofferenti di dolore cronico che uomini, ha fatto sì che i clinici e i ricercatori ponessero sempre più attenzione al fattore sesso. Questo ha permesso di acquisire numerose informazioni soprattutto sull’influenza degli ormoni gonadici e sulle strutture del sistema nervoso coinvolte nel dolore. Più recentemente sono stati studiati altri aspetti molto importanti quale, ad esempio, la differenza di genere nella risposta alla terapia permettendo la scoperta di differenze sostanziali nell’uso di molti farmaci”.

Nel dolore post-operatorio, le donne hanno bisogno di minore o maggiori dosi di morfina per raggiungere l’analgesia?
“In una serie di studi effettuati su dolore post- operatorio in pazienti con il sistema di somministrazione controllato direttamente dal paziente (PCA), si è visto che i maschi consumavano circa 2,4 volte più oppioidi rispetto alle femmine. In effetti, è stato dimostrato che i maschi necessitano di almeno il 60% in più di morfina delle donne per ottenere lo stesso sollievo dal dolore. Questo significa che le donne sono più sensibili degli uomini alla morfina. In letteratura sono presenti anche articoli in cui questa differenza non è presente. Questi risultati implicano l’esistenza di complesse differenze di genere nei circuiti coinvolti nella modulazione del dolore.

Infine, dal momento che le donne hanno una gittata cardiaca minore, questo porterà di conseguenza ad avere una clearance epatica minore. In effetti, il metabolismo degli oppiacei a livello epatico è diverso nell’uomo e nella donna, e queste differenze dipendono dalla presenza in circolo di ormoni sessuali. Dal momento che i metaboliti della morfina sono attivi, la risposta terapeutica diversa tra uomo e donna può essere ricercata anche in questo processo. Queste informazioni sono importanti perché le differenze tra i sessi, per quanto riguarda farmacocinetica e farmacodinamica, possono modificare l’efficacia dei farmaci e indurre effetti collaterali non previsti”.

Le donne che usano dosi elevate di oppiacei sono più limitate rispetto agli uomini, sia psicologicamente che fisicamente, nelle attività quotidiane?
“Per le poche sostanze di cui si è valutato l’influenza del genere sulla loro efficacia, le differenze tra i due sessi sono apparse subito importanti. Per esempio, differenze di risposta alla terapia analgesica sono state documentate per due classi di agenti analgesici molto importanti: gli antinfiammatori non steroidei e gli oppioidi. I farmaci antinfiammatori non steroidei sono ampiamente usati per trattare problemi di dolore acuto e cronico. Per esempio lo studio dell’effetto dell’ibuprofene, un importante antiinfiammatorio non steroideo ampiamente usato per la sua capacità di ridurre il dolore, anche sperimentale, ha dimostrato che l’effetto analgesico era presente in soggetti sani maschi ma non in femmine. La concentrazione plasmatica era simile nei due sessi e quindi la differenza di genere non poteva essere attribuita a un’inadeguata dose di ibuprofene e neanche ai livelli iniziali di dolore, dal momento che l’analgesia era misurata proprio come variazione dalla baseline.

Questo risultato non è inaspettato poiché era già stata notata una forte variabilità individuale nella risposta agli antinfiammatori non steroidei, però il genere non era ancora stato studiato. Questo è da tenere presente dal momento che molte condizioni dolorose, per cui i farmaci non antiinfiammatori steroidei sono usati, si riscontrano prevalentemente nelle donne. In soggetti sani, gli effetti analgesici della morfina mostravano: maggiore efficacia nella donna, un inizio più lento e termine degli effetti più lenti, soglia e tolleranza al dolore confrontabili tra i due sessi, nessuna differenza nella concentrazione plasmatica di morfina o dei suoi metaboliti”.

Nel settore dolore, quali importanti traguardi sono stati raggiunti dalla medicina di genere?
“Anche nello studio del dolore per molti anni si è sostenuto che i pazienti sofferenti di dolore fossero solo maschi giovani, e solo agli inizi degli anni novanta, il lavoro di sensibilizzazione svolto da ricercatori come Karen Berkley, ha piano piano introdotto questo aspetto del problema negli studi sul dolore. In effetti, nei lavori scientifici non veniva neppure riportato il sesso dei soggetti studiati, uomini o animali che fossero, dando per scontato che fossero maschi. La conseguenza pratica di questo atteggiamento è stata che molti di questi lavori sono praticamente inutilizzabili.

Le ragioni addotte per spiegare la mancanza dei soggetti di sesso femminile nella quasi totalità degli studi sono state le più varie tra cui le ‘difficoltà’ presenti nella corretta valutazione delle molteplici variabili a carico del sesso femminile: l’età riproduttiva, i rapidi cambiamenti ormonali, la gravidanza. Inoltre, in molti studi la presenza di soggetti di sesso femminile era solamente riportata come numero, ma non venivano fornite informazioni sul ciclo mestruale, sull’età, ecc.

Comunque le varie difficoltà non hanno impedito una progressiva presa di coscienza del problema, con studi sempre più mirati alla valutazione delle differenze tra i sessi, sia a livello di morfologia che di funzione dei vari organi e apparati. In particolare, l’importante differenza presente a livello clinico tra maschi e femmine, la presenza cioè di molte più donne sofferenti di dolore cronico che uomini, ha fatto sì che i clinici e i ricercatori ponessero sempre più attenzione al fattore sesso. Questo ha permesso di acquisire numerose informazioni soprattutto sull’influenza degli ormoni gonadici e sulle strutture del sistema nervoso coinvolte nel dolore. Più recentemente sono stati studiati altri aspetti molto importanti quale, ad esempio, la differenza di genere nella risposta alla terapia permettendo la scoperta di differenze sostanziali nell’uso di molti farmaci”.

fonte: ufficio stampa

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