Ricercatori dell’IFOM di Milano e dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia (CNR-IGM), con il contributo dei virologi dell’ICGEB di Trieste, hanno identificato le basi molecolari dell’aggressività e degli effetti deleteri di SARS-CoV-2: il virus provocherebbe danni al DNA della cellula e le impedirebbe di ripararli, provocando così senescenza cellulare ed infiammazione cronica. Lo studio, pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Nature Cell Biology, pone le premesse conoscitive per sviluppare in prospettiva nuovi trattamenti farmacologici che limitino gli effetti di SARS-CoV-2
Roma, 9 marzo 2023 – Sebbene dal dicembre 2019 ad oggi diversi progressi siano stati fatti in termini di diagnosi, cura e prevenzione, non è ancora chiaro perché SARS-CoV-2 abbia un impatto così grave sulla salute umana rispetto ad altri virus respiratori. Il gruppo IFOM guidato da Fabrizio d’Adda di Fagagna, specializzato da 20 anni nello studio della risposta al danno al DNA, un processo fondamentale attraverso cui le cellule del nostro corpo ci proteggono dagli effetti deleteri di vari processi fisiologici e patologici, compresi tumori e infezioni virali, ha scoperto uno dei motivi che rendono questo virus particolarmente aggressivo e i risultati sono stati pubblicati oggi sull’autorevole testata scientifica Nature Cell Biology.
“Tutti i virus, si sa, sono parassiti – spiega Fabrizio d’Adda di Fagagna, responsabile del laboratorio IFOM “Risposta al danno al DNA e Senescenza Cellulare” e Dirigente di ricerca al CNR-IGM di Pavia – Entrano in una cellula e iniziano a sfruttare tutto quello messo a disposizione dalla cellula infettata per replicarsi e diffondersi. E il SARS-CoV-2 è un virus particolarmente avido e abile. Nel nostro laboratorio ci siamo chiesti come avvenga questa operazione di ‘hackeraggio’ da parte del virus e se vi possa essere una connessione con quei processi che studiamo quotidianamente in ambiti patologici solo apparentemente distanti, quali tumori, malattie genetiche e condizione legate all’invecchiamento: tutti eventi accomunati dall’accumulo di danno al DNA”.
Partendo da queste premesse i primi autori di questo studio, i ricercatori di IFOM Ubaldo Gioia e Sara Tavella, hanno individuato, attraverso l’uso di diversi sistemi cellulari in vitro, le cause molecolari alla base degli effetti deleteri del Covid-19, e ne hanno trovato conferma in vivo, sia in sistemi modello murini di infezione, sia in tessuti post-mortem derivati da pazienti affetti da Covid-19.
“Quello che abbiamo osservato – illustrano Gioia e Tavella – è che SARS-CoV-2, una volta entrato nella cellula, ne dirotta i processi fondamentali, costringendola a smettere di produrre deossinucleotidi, i ‘mattoni’ del DNA, per farle produrre i ribonucleotidi ovvero i ‘mattoni’ che servono a sintetizzare l’RNA della cellula e, soprattutto, quello del virus. È proprio questa alterazione del processo cellulare operata dal virus a proprio vantaggio a consentire l’esplosiva replicazione virale all’interno della cellula infetta da SARS-CoV-2”.
Una conseguenza drammatica di tale sfruttamento dei meccanismi cellulari da parte del virus risulta essere la carenza di deossinucleotidi: “la cellula – descrivono i ricercatori – non riesce a replicare adeguatamente il proprio DNA e accumula danni nel suo genoma. Inoltre – proseguono Gioia e Tavella – abbiamo scoperto che il virus, oltre a causare la rottura del DNA per mancanza di deossinucleotidi, interferisce anche con i meccanismi cellulari di riparazione di questo DNA danneggiato, inibendo la proteina 53BP1 essenziale per il processo di riparazione”.
Questi due eventi, danneggiamento del DNA e inibizione della sua riparazione, hanno effetti drammatici sulla cellula infetta da SARS-CoV-2 e sui pazienti. “Tra questi – commenta d’Adda di Fagagna – sicuramente il precoce invecchiamento delle cellule, detto senescenza cellulare, e l’associata produzione di citochine infiammatorie. Non a caso la principale causa dei sintomi più gravi nei pazienti affetti da Covid-19 è proprio un’eccessiva produzione di citochine infiammatorie, nota anche come ‘tempesta di citochine’. In base ai risultati ottenuti abbiamo evidenziato come l’accumulo di danno al DNA, l’unico componente insostituibile delle nostre cellule, possa dare un contributo importante alla tempesta infiammatoria scatenata dal virus”.
Ma i ricercatori non si sono fermati a questa osservazione. “Fornendo alle cellule infettate un supplemento di deossinucleotidi – spiegano Gioia e Tavella – abbiamo dimostrato che, riducendo il danno al DNA causato dal virus, abbattiamo anche i livelli di infiammazione”.
“È importante sottolineare – precisa d’Adda di Fagagna – che senescenza cellulare e infiammazione cronica sono alla base dei processi di invecchiamento, che esso sia fisiologico o patologico, e infatti molti scienziati stanno scoprendo sempre più frequentemente evidenze di un invecchiamento accelerato in casi di gravi di Covid-19. In questo senso sarà importante studiare anche la correlazione tra queste nostre nuove scoperte e condizioni quali il cosiddetto long Covid, per sviluppare nuovi trattamenti farmacologici che limitino gli effetti di tale patologia”.
“Questo studio – conclude il ricercatore – non sarebbe stato possibile senza l’indispensabile collaborazione dei laboratori dell’ICGEB di Trieste condotti dai colleghi Alessandro Marcello e Serena Zacchigna che hanno compiuto gli esperimenti di infezione virale e analisi di materiale da pazienti”.
Oltre all’ICGEB hanno collaborato allo studio di IFOM il San Raffaele di Milano (Matteo Iannacone), l’Università degli Studi di Padova (Chiara Rampazzo), l’Istituto Neurologico Besta (Paola Cavalcante) e l’Università degli Studi di Palermo (Claudio Tripodo).