Roma, 24 maggio 2018 – La ricerca, Global time-size distribution of volcanic eruptions on Earth, a cura dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), descrive i tempi di ritorno e la frequenza delle eruzioni di diversa scala, da quelle piccole e frequenti a quelle rare e catastrofiche, e suggerisce che non sia possibile anticiparne con certezza dimensioni e impatto.
Le eruzioni vulcaniche sono tra gli eventi più spettacolari del nostro Pianeta. Con una frequenza media di circa 40 all’anno, possono variare da tranquille colate di lava lungo i fianchi del vulcano, fino a eventi, fortunatamente rari, in grado di modificare il clima terrestre e, in casi estremi, mai osservati in epoca storica, innescare conseguenze devastanti.
Lo studio integra i metodi dell’analisi statistica con la recente compilazione di database mondiali per gli ultimi milioni di anni. I risultati sono stati pubblicati su Nature.
“Analizzando i dati – afferma Paolo Papale, dirigente di ricerca INGV della Sezione di Pisa e autore della pubblicazione – abbiamo compreso che le eruzioni di tipo esplosivo, da quelle più piccole che avvengono in media 4-5 volte l’anno fino a quelle ciclopiche di cui conosciamo 27 casi nel corso degli ultimi due milioni di anni (l’ultima avvenuta in Nuova Zelanda circa ventisettemila anni fa), si manifestano alla scala del pianeta con una frequenza distribuita secondo una legge di potenza. In altre parole, una eruzione tende ad essere dieci volte più rara quando le sue dimensioni sono dieci volte maggiori. La situazione è analoga a quella di una pila di sabbia: man mano che aggiungiamo sabbia sulla cima, si verificano frane di materiale le cui dimensioni si distribuiscono secondo una legge di potenza”.
Per questa categoria di eventi, il manifestarsi di una certa taglia dipende da un numero elevatissimo di variabili che interagiscono fra loro in maniera talmente complessa da precludere ogni possibile controllo o previsione certa, indipendentemente da quanto raffinata sia la conoscenza del sistema.
“Oggi siamo in grado di realizzare simulazioni numeriche dei processi che avvengono dalle profondità dei sistemi magmatici fino alla dispersione dei prodotti vulcanici nell’atmosfera e misuriamo costantemente un gran numero di parametri che ci avvertono di anche minime variazioni nello stato di un vulcano attivo. Tutto ciò consente di prepararci al verificarsi di una nuova eruzione”.
“Tuttavia – osserva Papale – non è mai stato prodotto, a livello mondiale, un metodo affidabile per prevedere, sulla base di tali misure, la magnitudo dell’eruzione che ne seguirà”.
I risultati della ricerca suggeriscono che tale limite possa costituire una caratteristica fondamentale delle eruzioni di tipo esplosivo e che quindi potrebbe non essere possibile, nemmeno in futuro, fare previsioni certe sulla dimensione e l’impatto di una prossima eruzione.
“Per tale ragione – conclude Papale – nelle nostre valutazioni di pericolosità ci riferiamo a diverse possibili scale eruttive, ciascuna associata a una diversa probabilità. La ricerca nel campo della pericolosità vulcanica si concentra quindi su come trasferire conoscenze, sempre più approfondite, in valutazioni probabilistiche maggiormente affidabili che possano consentire alle autorità una migliore gestione del rischio vulcanico”.