Un nuovo software analizza la geometria dei dicchi magmatici per comprendere l’attività eruttiva attuale e del passato dei vulcani Etna, Stromboli, Somma-Vesuvio (Italia), Summer Coon (USA) e Vicuña Pampa (Argentina) e ipotizzare futuri scenari eruttivi. Lo studio, a firma INGV è stato pubblicato su Bulletin of Volcanology
Roma, 2 marzo 2017 – Si chiama FIERCE (FInding volcanic ERuptive CEnters by a grid-searching algorithm in R) il nuovo software utilizzato da un team di ricercatori dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE), per studiare i relitti di magma non eruttato (dicchi magmatici) e ricostruire gli antichi sistemi di alimentazione dei vulcani confrontandoli con quelli attuali, al fine di ipotizzare possibili futuri scenari eruttivi.
Elaborato in collaborazione con il Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura (DPIA) dell’Università di Udine (UNIUD) e con l’Instituto de Bio y Geociencias del Noroeste Argentino (IBIGEO) di Salta, FIERCE è in grado di analizzare la disposizione geometrica dei dicchi e individuare la posizione dei centri vulcanici che li hanno generati. La ricerca è stata pubblicata su Bullettin of Volcanology.
“Questo software – spiega Marco Neri, Vulcanologo dell’INGV-OE – è stato applicato a cinque vulcani dalle caratteristiche differenti: i vulcani italiani Etna, Stromboli e Somma-Vesuvio; l’americano Summer Coon; e, infine, l’argentino Vicuña Pampa”.
I dicchi sono stati considerati come prodotti da intrusioni magmatiche superficiali (alcune centinaia di metri) o profonde (alcuni chilometri). Quelli superficiali possono avere una distribuzione geometrica puramente “radiale”, quando tutti i dicchi convergono in un unico punto (il centro vulcanico), oppure “tangenziale”, nel caso in cui i dicchi si allineano lungo superfici semi-circolari come le pareti di una caldera. Le intrusioni magmatiche profonde, invece, generano dicchi “regionali”, ovvero disposti lungo fratture della crosta terrestre profonde vari chilometri.
Il software FIERCE ha permesso di indagare tutte e tre le combinazioni di dicchi, individuando quella più probabile per ogni vulcano analizzato.
“Se l’americano Summer Coon è risultato un vulcano alimentato esclusivamente da dicchi radiali convergenti in un unico centro eruttivo – osserva Marco Neri – nei casi italiani dell’Etna e del Somma-Vesuvio i dicchi indicano che i centri vulcanici più antichi avevano posizioni diverse rispetto a quella attuale. A Stromboli, invece, è risultato evidente come alcuni dicchi superficiali siano stati deviati delle pareti della Sciara del Fuoco, mentre altri risultano allineati secondo faglie tettoniche regionali della crosta terrestre. Nell’argentino Vicuña Pampa, infine, il software ha individuato due antichi centri eruttivi che hanno alimentato quel vulcano, nonostante l’erosione abbia smantellato quasi completamente l’apparato eruttivo”.
I dicchi magmatici osservati lungo le pareti erose dei vulcani, come nella Valle del Bove dell’Etna o nella Sciara del Fuoco dello Stromboli sono formati da magma che, raffreddandosi lentamente all’interno delle fratture, si solidifica diventando roccia dura e compatta.
“Trovandosi all’interno dei vulcani – prosegue Marco Neri – i dicchi restano ai nostri occhi quasi sempre invisibili. Solo in rari casi possono affiorare in superficie, quando il vulcano è profondamente eroso o quando violente esplosioni formano profonde caldere”. Tutti questi processi fanno emergere strati interni degli apparati vulcanici e mostrano i dicchi e gli antichi sistemi di alimentazione magmatica.
“Studiare i dicchi significa, quindi, analizzare il passato di un vulcano e i suoi antichi sistemi di alimentazione, per capirne l’evoluzione geologica. Nel corso dei secoli i vulcani cambiano, modificano la loro forma, la posizione delle camere magmatiche e dei condotti eruttivi. La comprensione di questo passato, quindi, può dare informazioni utili anche sul futuro di un vulcano e su come esso evolverà”, conclude Marco Neri.
fonte: ufficio stampa