È l’importante risultato di uno studio clinico multicentrico internazionale coordinato per l’Italia dagli pneumologi della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – Università Cattolica e pubblicato sulla prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine”
Roma, 17 settembre 2018 – Grazie a uno studio internazionale coordinato da esperti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica si aprono nuove prospettive per la cura della fibrosi polmonare idiopatica (specie dei casi più gravi), una patologia rara la cui diffusione è però destinata a aumentare, complice l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle diagnosi precoci: associare il principio attivo del Viagra, il sildenafil, a uno dei farmaci già in uso contro la malattia migliora l’efficacia delle cure.
Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine” ed è stato coordinato per l’Italia dal team del prof. Luca Richeldi, Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università Cattolica e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pneumologia della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli IRCCS, formato dal dott. Francesco Varone, dott. Daniele Magnini e dott. Giacomo Sgalla, tutti impegnati nell’ambulatorio per le fibrosi polmonari, presso il quale vengono seguiti oltre 200 pazienti affetti da questa patologia.
Si tratta di uno studio multicentrico condotto in Australia, Belgio, Canada, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Messico, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, coordinato a livello globale dalla Cornell University di New York.
In tutto sono stati arruolati 274 pazienti, di cui 5 presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCSS.
“L’idea di usare questa associazione farmacologica – spiega il prof. Luca Richeldi – deriva da un precedente studio che ha valutato il solo sildenafil confrontandolo con placebo, da cui pareva ci fosse un effetto benefico. Il nuovo studio ha voluto valutare l’associazione dei due farmaci.
LA MALATTIA
La fibrosi polmonare idiopatica è una patologia dei polmoni caratterizzata da una progressiva perdita della funzione respiratoria, che conduce alla morte generalmente per insufficienza respiratoria in media dai 3 ai 5 anni dopo la diagnosi (purtroppo solo circa il 30% dei pazienti sopravvive 5 anni dopo la diagnosi, una prognosi peggiore della maggior parte delle patologie oncologiche).
Si calcola che in Italia circa 5.000 nuovi casi di malattia siano diagnosticati ogni anno. I maschi sono più frequentemente affetti delle femmine e, benché la malattia possa colpire a tutte le età, la maggioranza dei casi viene diagnosticata in persone che hanno più di 65 anni.
La causa della fibrosi polmonare idiopatica è tuttora sconosciuta, anche se alcuni fattori di rischio sono stati identificati, tra cui il fumo di sigaretta, il reflusso gastroesofageo, virus respiratori ed esposizioni a inquinanti ambientali. In alcuni casi esiste una familiarità e circa il 30% del rischio di ammalarsi è su base genetica.
I sintomi principali sono la fatica a respirare (soprattutto a seguito di sforzi fisici) e la tosse secca. Il sospetto diagnostico viene posto in genere sulla base di un esame Tac ad alta risoluzione del torace. Attualmente sono disponibili due farmaci (nintedanib e pirfenidone) che rallentano la progressione della malattia (la velocità di perdita della funzione polmonare).
“Nel nuovo studio – aggiunge il prof. Richeldi – abbiamo dimostrato che uno dei farmaci già approvati per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica (nintedanib) nei pazienti con malattia lieve-moderata, può essere usato anche nei pazienti più gravi (nei quali al momento non è autorizzato per l’uso)”.
“Inoltre abbiamo visto che aggiungere il principio attivo del Viagra alla terapia con nintedanib migliora l’efficacia delle cure – prosegue il prof. Richeldi – Anche se l’endpoint primario (la finalità) dello studio (la qualità di vita misurata con il questionario ‘Saint George’) ha dato esito negativo, i risultati suggeriscono che l’associazione dei due farmaci (almeno nei pazienti più gravi) dà performance migliori del solo nintedanib per preservare la funzionalità polmonare”.
I risultati sono interessanti sia perché riferiti a una popolazione di pazienti gravi per i quali abbiamo poche possibilità di trattamento, sia perché il sildenafil è un farmaco generico in gran parte del mondo (e quindi a basso costo).
Anche se il meccanismo attraverso il quale il sildenafil riduce la progressione della fibrosi non è completamente noto, si ritiene che l’azione principale avvenga a livello dei vasi polmonari, riducendo la produzione di fattori pro-fibrotici da parte delle cellule endoteliali.
“Alla luce di questo studio – conclude Richeldi – è possibile che le autorità regolatorie europee (inclusa l’AIFA) consentano l’uso del farmaco anche nei pazienti più gravi (come del resto già avviene in Paesi come gli Stati Uniti). È anche possibile che, essendo il sildenafil un farmaco generico, esso sia associato con il nintedanib, almeno nei pazienti più gravi”.
“Questo studio – commenta il prof. Filippo Crea, direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Toraciche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – si aggiunge a una serie di altre ricerche, pubblicate dal prof. Richeldi sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, sul trattamento di una grave malattia, la fibrosi polmonare idiopatica, considerata incurabile fino a pochi anni fa. L’impatto clinico di queste nuove terapie è crescente. Va dato merito al prof. Richeldi di aver dato un contributo sostanziale a migliorare la prognosi di una delle più gravi malattie polmonari”.