I vantaggi di questa tecnica, rispetto a quella classica con radiofrequenza, sono una maggiore rapidità della procedura, mantenendo gli stessi standard di efficacia e sicurezza dell’approccio tradizionale
Roma, 30 agosto 2016 – I risultati delle analisi secondarie dello studio clinico FIRE AND ICE, presentati al Congresso della European Society of Cardiology (ESC) in corso a Roma, dimostrano tassi di riablazione e ospedalizzazione significativamente più bassi per i pazienti con fibrillazione atriale parossistica (PAF) trattati con la crioablazione rispetto ai pazienti trattati con l’ablazione in radiofrequenza (RF).
La crioablazione è una tecnica ablativa che utilizza il freddo. L’intervento consiste nell’introdurre per via venosa un palloncino all’interno delle vene polmonari che viene poi gonfiato e raffreddato a circa -40° per 3 minuti. Si produce così una sorta di ibernazione dell’area malata che viene isolata dal resto del cuore. I vantaggi di questa tecnica, rispetto a quella classica con radiofrequenza, sono una maggiore rapidità della procedura, mantenendo gli stessi standard di efficacia e sicurezza dell’approccio tradizionale, come confermato dalle analisi primarie dello studio FIRE AND ICE.
Tra i partecipanti allo studio, il prof. Claudio Tondo, direttore del Cardiac Arrhythmia Research Center del Cardiologico Monzino di Milano spiega che “Lo studio FIRE&ICE rappresenta la più importante analisi randomizzata di confronto tra la tecnica crioablativa e quella convenzionale a radiofrequenza nel trattamento di pazienti sintomatici per fibrillazione atriale parossistica. Lo studio dimostra un’efficacia clinica quantomeno paragonabile tra le due metodiche, ma sottolinea come la crioablazione possa costituire un approccio più rapido e semplificato”.
L’ablazione della fibrillazione atriale è indicata per i pazienti cosiddetti giovani – al di sotto dei 65 anni – per i pazienti sintomatici e per tutti coloro che non hanno risposto positivamente alla terapia farmacologica. Si tratta del 30% della popolazione che soffre di fibrillazione atriale, la patologia cardiaca che rappresenta la più comune forma di aritmia con 500.000 pazienti in Italia e 60 mila nuovi casi ogni anno. Durante la fibrillazione atriale gli impulsi naturali del cuore sono irregolari, le camere superiori e inferiori del cuore non battono in modo sincrono.
Un ritmo rapido e disorganizzato affligge l’abilità del cuore a svolgere le normali funzioni: gli atri si contraggono rapidamente e caoticamente e i ventricoli si riempiono meno efficacemente causando una perdita di funzionalità cardiaca pari al 30%. Spesso, la fibrillazione atriale è asintomatica e non diagnosticata, aumentando il rischio embolico associato. Obiettivo dei trattamenti, farmacologici e non, è il ripristino del ritmo sinusale.
L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale con radiofrequenza – oggi praticata in Italia per circa 6.000 pazienti l’anno – presenta, tuttavia, delle limitazioni importanti che ricadono sulla prolungata durata dell’intervento e sulla complessità della procedura che richiede una equipe medica molto esperta. La metodica che utilizza la crioenergia (utilizzata in oltre 180.000 casi nel mondo e disponibile in Italia in circa 40 laboratori di Elettrofisiologia) semplifica l’intervento mininvasivo di ablazione transcatetere per il trattamento della fibrillazione atriale rendendolo più sicuro e tollerabile per il paziente e riducendo significativamente per il paziente le ospedalizzazioni e le cardioversioni elettriche dopo l’intervento.
fonte: ufficio stampa