Uno studio dei ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e dell’Università di Torino dimostra per la prima volta la correlazione tra il basso peso alla nascita e la possibilità di sviluppare forme più gravi di steatosi epatica
Roma, 6 giugno 2016 – I bambini e gli adolescenti affetti da steatosi epatica e nati piccoli per età gestazionale (Small for Gestational Age, SGA) tendono a sviluppare negli anni forme più gravi di fegato grasso rispetto a pazienti affetti dalla stessa malattia ma nati con un peso adeguato all’età gestazionale.
Lo rivela uno studio condotto dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e del dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino. La ricerca, coordinata dal prof. Valerio Nobili, responsabile di Malattie Epatometaboliche del Bambino Gesù, è stata appena pubblicata sulla rivista scientifica American Journal of Gastroenterology. Questa scoperta potrà avere importanti effetti sul fronte della prevenzione.
I bambini con un basso peso alla nascita devono essere considerati una popolazione con un rischio maggiore di sviluppare steatoepatite e devono quindi essere sottoposti ad un attento monitoraggio nel tempo per evitare l’insorgenza della malattia o per intercettarla precocemente in modo tale da contrastarne efficacemente l’evoluzione naturale.
LA MALATTIA E I NEONATI SGA
La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è una malattia determinata dall’accumulo di trigliceridi all’interno delle cellule del fegato (epatociti). E’ asintomatica e spesso si arriva alla diagnosi in seguito al riscontro occasionale di anomalie in alcuni esami di laboratorio (ad esempio l’incremento delle transaminasi) che porta ad effettuare approfondimenti che conducono alla diagnosi definitiva, generalmente eseguita attraverso un esame ecografico dell’addome.
Il fegato grasso è una patologia dinamica che, se non adeguatamente trattata, tende ad evolvere nel tempo verso l’infiammazione cronica (steatoepatite non alcolica, NASH), quindi a degenerare nella fibrosi epatica e nell’epatocarcinoma. I neonati SGA sono quelli il cui peso alla nascita è inferiore al 10° percentile.
Con il termine SGA non si definisce una malattia, ma semplicemente una categoria di bambini il cui peso alla nascita è minore rispetto a quello mediamente misurato nei neonati di pari età gestazionale e sesso.
I NUMERI
La steatosi epatica è la malattia di fegato più diffusa nel mondo occidentale: colpisce infatti tra il 5-15% della popolazione pediatrica generale. Queste stime aumentano se si considera la sottopopolazione di bambini obesi: in questo caso la prevalenza del fegato grasso oscilla tra il 30 e il 40%.
Le più recenti indagini ISTAT hanno confermato il trend in calo delle nascite in Italia: nel 2016 sono venuti alla luce circa 474 mila bambini (-17 mila rispetto al 2015). Di questi, circa il 10% è nato piccolo per età gestazionale (circa 30-40 mila neonati).
LO STUDIO
Lo studio ha valutato 208 bambini e adolescenti affetti da steatosi epatica documentata istologicamente, suddivisi in sottogruppi in funzione del peso alla nascita. Nei bambini nati piccoli per età gestazionale, circa il 12% di tutta la popolazione, è stata evidenziata una più alta prevalenza di infiammazione del fegato e soprattutto di steatosi severa (69%) rispetto agli altri pazienti.
E’ stato quindi dimostrato che essere nati SGA, rispetto a non esserlo, incrementa di 4 volte il rischio di sviluppare steatosi grave. Il rischio è aumentato ulteriormente se si considerano altri fattori concomitanti come l’insulino-resistenza o la presenza di mutazioni genetiche che predispongono alla patologia.
“Queste evidenze – spiega Valerio Nobili, responsabile di Malattie Epatometaboliche del Bambino Gesù – forniscono la possibilità di applicare adeguate politiche di prevenzione nei confronti della popolazione di bambini SGA che potranno essere precocemente monitorati per evitare l’insorgenza di steatoepatite. Inoltre, nel caso di pazienti già affetti da fegato grasso, il compito dei pediatri sarà quello di considerare i nati piccoli per età gestazionale come bambini con un maggior rischio di sviluppare forme gravi della patologia e di essere quindi più stringenti nel controllo della malattia”.
fonte: ufficio stampa