Farmaci biologici, Italia terzo mercato in Europa. Biosimilari assorbono il 13% dei consumi

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Milano, 14 novembre 2018 – L’Italia si conferma il terzo mercato biologico a valore in Europa e si posiziona come leader nella diffusione dei biosimilari, con una crescita costante nell’arco di un decennio.

In particolare, da gennaio ad agosto 2018 le 10 molecole biosimilari in commercio sul mercato italiano – epoetine, filgrastim, somatropina, follitropina alfa, infliximab, insulina glargine, etanercept, rituximab, enoxaparina e insulina lispro, per un totale di 45 prodotti – hanno assorbito il 13% dei consumi nazionali contro l’87% detenuto dai corrispondenti originator, con una crescita del 19% rispetto ai primi otto mesi del 2017.

I dati aggiornati sul mercato italiano dei biosimilari sono stati diffusi in occasione del Corso di Formazione Professionale “Farmaci biologici o biosimilari? Una alternativa sostenibile e più economica per la Sanità italiana”, accreditato dall’Ordine dei Giornalisti e  organizzato oggi a Milano, con il patrocinio scientifico di SIFEIT (Società Italiana per Studi di Economia ed Etica sul Farmaco e sugli Interventi Terapeutici).

Sotto la lente gli aspetti normativi e regolatori che hanno reso l’Europa apripista e protagonista della crescita del mercato biosimilare, ma anche l’esperienza clinica e le prospettive economiche e di sostenibilità del SSN che discendono dall’utilizzo di questi medicinali.

“Da quando ha autorizzato il primo medicinale biosimilare nel 2006, l’UE è all’avanguardia nella regolamentazione dei medicinali biosimilari – ha spiegato alla stampa il prof. Fabrizio Condorelli, Farmacologo presso l’Università del Piemonte Orientale – Negli ultimi 10 anni ha autorizzato il più elevato numero di medicinali biosimilari al mondo, acquisendo una notevole esperienza nel loro uso e sicurezza. E l’esperienza clinica mostra che i medicinali biosimilari autorizzati tramite l’EMA possono essere utilizzati per tutte le indicazioni autorizzate con la stessa sicurezza ed efficacia dei biologici”.

I farmaci biologici, per definizione, sono molecole che non possono essere riprodotte in modo ‘identico’ ma ‘simile’ poiché generate con l’ausilio di sistemi viventi (cellule vegetali o animali, batteri, virus ecc.) e dunque intrinsecamente mutevoli nel tempo. I biosimilari, ovvero le copie di di farmaci biotecnologici originatori a brevetto scaduto, non possono sottrarsi a tale regola e per tanto per essere immessi in commercio debbono mostrarsi comparabili agli originatori in termini di qualità, sicurezza ed efficacia.

“Poiché i medicinali biosimilari sono ricavati da organismi viventi, possono presentare rispetto al medicinale di riferimento lievi differenze ritenute non clinicamente significative, poiché non impattano su sicurezza ed efficacia – ha spiegato infatti il prof. Giorgio Lorenzo Colombo, del Dipartimento Scienze del Farmaco dell’Università di Milano – Tutti i medicinali biologici possiedono una naturale variabilità e sono sempre previsti controlli rigorosi per garantire che quest’ultima non comprometta il meccanismo d’azione del medicinale o la sua sicurezza”.

Prodotti complessi e destinati al trattamento mirato di numerose patologie gravi e croniche, i farmaci biologici hanno rappresentato una svolta terapeutica decisiva per milioni di pazienti affetti ad esempio da tumore, sclerosi multipla, diabete, artrite reumatoide e altre malattie autoimmuni e rare, facendo registrare nell’arco di 5 anni una crescita del 57,1% del loro fatturato mondiale, passando dai 170 miliardi di dollari del 2012 ai 267 miliardi di dollari del 2017.

Sempre nel 2017 – come sottolinea una analisi IQVIA provider globale di informazioni in campo sanitario, pubblicata a luglio – il mercato europeo EU5 (Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Spagna) ha contribuito al 16% del mercato globale dei biologici, con un tasso di crescita superiore al 10%.

Proprio l’ampiezza della platea dei possibili destinatari dei trattamenti contribuisce ad accrescere l’appeal dei biosimilari. Secondo una review presentata nel marzo scorso da Ernst&Young, infatti, sarebbero circa 200mila i pazienti italiani affetti in particolare da gravi patologie autoimmuni (psoriasi, artrite psoriasica, spondilite anchilosante, artrite reumatoide) interessati da fenomeni di “sottotrattamento” o accesso ritardato alle cure più innovative, gravate da costi elevati.

Fattori su cui ha richiamato l’attenzione anche l’Agenzia regolatoria Italiana – AIFA – che ha aggiornato la propria posizione rispetto all’uso dei biosimilari in un Position Paper pubblicato in marzo.

“L’ente regolatorio – ha sottolineato il prof. Giuseppe Assogna, presidente di SIFEIT – ha definito i biosimilari ‘intercambiabili con i corrispondenti originatori di riferimento’, in quanto il rapporto rischio-beneficio tra i biosimilari e gli originator è il medesimo e ciò vale ‘tanto per i pazienti naïve quanto per i pazienti già in cura’. E la scelta del miglior trattamento per il paziente resta comunque affidata alla decisione clinica del medico prescrittore, cui compete di operare scelte coerenti con un uso appropriato delle risorse e provvedere ad una corretta informazione al paziente sull’uso di questi farmaci”.

Una indicazione importante quella dell’AIFA anche alla luce delle previsioni su spesa e possibili risparmi formulate da IQVIA, che per il 2017 quota a oltre 1 miliardo di euro il mercato di otto importanti farmaci biologici destinati a perdere la protezione brevettuale entro il 2022: “ Senza la concorrenza dei biosimilari – ha infatti concluso Assogna, citando i dati IQVIA – tra il 2018 e il 2022 la spesa per queste otto specialità toccherebbe una spesa cumulata 6,5 miliardi di euro; ipotizzando invece l’ingresso sul mercato dei corrispondenti biosimilari, ad un prezzo inferiore del 20% o del 30% rispetto a quello degli originator, si potranno ottenere risparmi tra i 299 e i 448 milioni”.

Potenzialità che non sfuggono alle Regioni italiane, dove si registra un quadro dei consumi di biosimilari diversificato ma comunque in crescita. Secondo i dati resi disponibili dall’Italian Biosimilars Group, organo ufficiale di rappresentanza dell’industria dei farmaci biosimilari in Italia, infatti, a registrare il maggior consumo di biosimilari per tutte le molecole in commercio sono la Valle d’Aosta e il Piemonte: in entrambe quotano il 43,24% del mercato complessivo di riferimento: Ma si arriva all’81,44% del mercato per  l’insieme delle cinque molecole in commercio da almeno 3 anni (epoetine, filgrastim, somatropina, infliximab, follitropina alfa).

Lo stesso pool di molecole di più antica commercializzazione ottiene consensi di rilievo praticamente in tutte le Regioni, sia in quelle dove sono state adottate delibere prescrittive orientate alla scelta del biologico a minor costo (Toscana, 75,41%; Veneto 71,60%; Sicilia 64,49%) che in quelle dove non risultano provvedimenti analoghi (Liguria, 75,97%; Emilia Romagna, 70,96%). Fanalini di coda Abruzzo (46,52%) e Calabria (16,58%).

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